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  • Gio. Apr 25th, 2024

L’acufene o “tinnitus” è quella sensazione uditiva riferita come ronzio, fischio,
sibilo, fruscio, ecc., che non ha riscontro in una sorgente sonora nell’ambiente
esterno e viene avvertita solo dal soggetto.

La terapia del disturbo acufene si avvale da molti anni del contributo della psicologia cognitivo comportamentale (CBT).  Essa mette in opera interventi variamente articolati (TRT).

Le cause più frequenti associate alla comparsa di acufeni permanenti o
comunque di lunga durata sono i traumi acustici (20%), i traumi cranici (9%),
i processi patologici che colpiscono l’orecchio interno include l’otosclerosi e la
malattia di Mènière (7%) e l’assunzione di farmaci ototossici e tinnitogeni
(2%). Nel rimanente 60% dei casi non è possibile individuare uno specifico
fattore possibilmente responsabile della loro insorgenza, l’acufene viene quindi chiamato idiopatico ovvero, di origine ignota.

Gli indirizzi TRT hanno l’obiettivo di ridurre direttamente la tolleranza del suono (DST) e l’acufene. (P.J.Jastreboff, 1990).

Secondo un recente articolo (S. Palmieri, 2018), “la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) si è rivelata efficace in coloro che soffrono di acufene, in quanto agirebbe sulla percezione e assuefazione piuttosto che sull’acufene in sé”.
In questo articolo viene posta in discussione l’affermazione dell’autrice del coinvolgimento della percezione nella terapia, senza peraltro dimostrarlo. Infatti, l’approccio non prevede alcun intervento che richiami il coinvolgimento del sistema percettivo nella pratica terapeutica.

Obiettivo del presente scritto

Non ci risulta che tra le tecniche messe a punto dall’approccio cognitivo sia presente la componente “percettiva” che dovrebbe affrontare la problematica senza che il paziente abbia modo di fare ricorso alla “cognizione”. Almeno nelle fasi iniziali, come avviene invece nella terapia strategica (Nardone, 2018).

L’applicazione dei presupposti e delle tecniche della Terapia Strategica vengono a costituire un caso più unico che raro nel panorama della psicoterapia in generale. Risulta viepiù che la prassi e i protocolli del metodo non vengano divulgati e discussi a sufficienza.

L’approccio di Terapia Strategica, rappresentato in Italia da Giorgio Nardone, si candida, invece, ad ottenere risultati verosimilmente più efficaci di quelli messi in atto dalla terapia cognitivo comportamentale proprio perchè “la conoscenza delle cause del disturbo non è necessaria né utile alla soluzione del disturbo stesso“. Serve invece studiare con maggiore approfondimento come il sistema percettivo-reattivo funzioni e si candida a “creare” il disturbo acufene.
Il seguente scritto vuole anche offrire una panoramica essenziale ma precisa degli strumenti della terapia strategica, con particolare riferimento ai metodi che consentono allo specialista di avere la meglio sul disturbo.

Trattamento di un caso di acufene con il metodo della terapia strategica

L’opportunità ci viene offerta dai risultati promettenti del trattamento di un caso di acufene con i protocolli di terapia adottati nei confronti dei soggetti fobici.

Presupposti teorici

Il Modello della Terapia Strategica Breve (TSB) si basa su di una innovativa teoria sulla paura. Discende direttamente dalla teoria costruttivista e si avvale del contributo della teoria dell’informazione, della teoria dei sistemi che della teoria dei tipi logici di Whitehead e Russell.
Uno dei più importanti presupposti teorici da cui parte la TSB è che la “realtà” non è una concezione oggettiva ma nasce dalla “costruzione” di essa del singolo e si definisce sulla base della personale interazione e costruzione dell’individuo nella sua interazione continua col mondo e con se stesso.
Ciascuno interpreta e reinterpreta la realtà che assume via, via l’espressione compiuta nel sistema percettivo e reattivo dell’individuo.

L’approccio Strategico Breve

 1. Può essere facile per un medico distinguere lo stato di salute da quello di malattia come deviazione dalla norma, non altrettanto si può dire per la salute emotiva o mentale di un individuo (P. Watzlawick, G. Nardone, 1997).
2. Nella comunicazione e nell’interazione umana prevale il principio della circolarità dell’informazione e non più quello della causalità lineare. In poche parole, non ci dobbiamo più preoccupare della causa, cioè del perché, esso si sia formato ma ci dobbiamo interessare al come esso è emerso e in che modo è stato consolidato, cioè rafforzato.

L’approccio strategico: i precursori

L’approccio strategico alla terapia dei disturbi mentali trova la sua principale espressione nei lavori di G. Kelly (1955) con la “teoria dei costrutti personali”, J. Piajet (1923;1926; 1936) e la sua “epistemologia genetica” e nella terapia di Milton Erickson (1988) della Disseminazione.
L’espressione dei principi teorici si basa sulla teoria costruttivista radicale (H. von Foerster,1987; H. von Foerster, E. von Glasersfeld, 2001; E. von Glasersfeld, 2015).
La visione del mondo di ciascuno è e rimane sempre un costrutto della sua mente e non si può dimostrare che abbia nessun’altra esistenza” (Schrodinger, 1958).
Heisenberg (1958) afferma che “La realtà di cui noi parliamo non è mai una realtà “a priori” ma una realtà conosciuta e creata da noi” ( Watzlawick e Nardone, 1997).

La terapia strategica

L’approccio strategico dei disturbi mentali ha avuto la sua espressione più compiuta nel 1974 nel lavoro di Watzlawick, Weakland e Fisch. Nel lavoro degli Autori viene espressa la summa del lavoro ventennale delle ricerche svolte dal gruppo di Palo Alto sotto la guida teorica di G. Bateson e quella clinica di D.D. Jackson.

Si avvale della creazione di stratagemmi, costruzioni metaforiche, paradossi, giochi psicologici, sostituzione del sintomo, ristrutturazioni del sistema percettivo reattivo del soggetto che ha “creato” egli stesso il problema e l’ha fatto persistere con un sistema di credenze e con meccanismi di rinforzo sociale. La logica non ordinaria, basata sulla suggestione di stratagemmi antichi e insieme modernissimi, scuote le nostre convinzioni razionali e offre soluzioni inaspettatamente semplici a problemi di natura disparata (Nardone, 2009).

La teoria costruttivista

Il “come funziona” è l’origine del percorso terapeutico dello specialista, il quale, con le sue indagini iniziali, definisce l’insieme delle “tentate soluzioni” del soggetto. Su questa base egli stabilisce un programma fatto di una serie di interventi ad hoc.
La persistenza fa ingigantire il problema stesso del soggetto che diventa più complesso ma anche più semplice sotto certi aspetti. Si tratta essenzialmente del fatto che il soggetto fobico è molto ricettivo in questa fase ed è perciò più disposto al cambiamento.
Nella persistenza, cioè, nell’opera di sclerotizzazione del problema, intervengono le tentate soluzioni del soggetto, che sono per lo più affidate all’aiuto-sostegno dei familiari e al permanente evitamento della situazione temuta.

Formazione e persistenza del problema

La formazione e la persistenza del problema si riferiscono al sistema percettivo e reattivo del soggetto che ha “costruito” la fobia nel qui e ora della persona. In pratica, ciò viene definito come un sistema ricorsivo che innesca una reazione senza fine – effetto Butterfly – ( Nardone, 1995).

Per esporre la formazione dei problemi dobbiamo partire dalla teoria dei tipi logici di Whitehead e Russell la quale afferma che “qualunque cosa presupponga tutti gli elementi di una collezione non deve essere un termine della collezione”. Questo importante assioma dei Principia Mathematica ha una importante conseguenza dal punto di vista delle relazioni umane. La sua applicazione ha trovato la genealogia dei giochi psicologici (Salvini Palazzoli, 1966) e in psichiatria con il concetto di “doppio legame” (G. Bateson, 1972).
Il principio si può riassumere con l’affermazione che la totalità è più della somma delle parti.
Quando si tenta di trattare la parte come il tutto si va incontro a confusione e a paradossi.
I livelli logici hanno una loro gerarchia e non possiamo trattare un elemento (parte) come una classe (il tutto dell’insieme).

 

L’uso del paradosso

I messaggi paradossali hanno la caratteristica di contenere affermazioni che si contraddicono, per cui una affermazione esclude l’altra. Un paradosso, è un ragionamento che appare contraddittorio, ma che deve essere accettato, oppure un ragionamento che appare corretto, ma che porta a una contraddizione: si tratta, secondo la definizione che ne dà Mark Sainsbury, di
“una conclusione apparentemente inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile“
Il paradosso più antico è quello di Epimenide Cretese, che diceva: “Tutti i cretesi sono bugiardi.” Se Epimenide dice la verità, la sua affermazione non è valida, in quanto è membro di una classe – i Cretesi – che è stata definita come una classe di mentitori. Se Epimenide dice il falso e tutti i cretesi non sono bugiardi, la sua affermazione non è valida, perchè sta includendo se stesso, un bugiardo, in una descrizione dei membri di una classe composta di persone che dicono la verità (Da Gurman e K.). Tornando ripetutamente sul significato cercheremo di dare senso alle affermazioni in toto ma senza riuscirci. Gli effetti possono essere decisamente destabilizzanti e, nelle relazioni significative creare un black out della mente e una deviazione del pensiero con influenze sulla percezione.
Uno studio approfondito è stato compiuto da Watzlawick (Watzlawick,1974), il quale riporta un episodio abbastanza singolare accaduto realmente a

 

Il cambiamento

In conseguenza della teoria dei tipi logici il cambiamento può benissimo distinguersi in due tipi: il tipo1 e il tipo2. (Watzlawick et Al. 1974).
Il cambiamento “2” rappresenterebbe un vero cambiamento mentre tutti i cambiamenti che non comportano un salto logico vengono definiti cambiamenti di tipo 1. Esso, sebbene un fenomeno quotidiano nella vita pratica di ciascuno, in quanto vengono trovate soluzioni nuove e creative. Le organizzazioni come gli organismi sono in grado di correggersi e trovare nuovi adattamenti.
L’elaborazione scientifica e l’atto creativo sono chiari esempi di cambiamenti veri (di tipo “2”). Spesso il cambiamento avviene in seguito ad un atto intuitivo, ad un salto logico come la percezione di una situazione o di una idea in due sistemi di riferimento incompatibili ma coesistenti.
L’esempio più classico di cambiamento cosiddetto di tipo 2, ci viene offerto dagli esperimenti sul pensiero produttivo compiuto dai teorici della Gestalt (M. Wertheimer, 1959).
Il cambiamento appare come un salto decisivo e imprevedibile, “una invenzione che non dipende dai processi logici” (Bronowski, 1966. Da Watzlawich et Al. 1974). In certi casi, il cambiamento appare brusco, imprevedibile, illogico soltanto in termini di cambiamento1, cioè da dentro il sistema, mentre il cambiamento2 è introdotto dal di fuori del sistema. 

 

La tecnica della ristrutturazione

 Ristrutturare significa dare una nuova struttura alla visione del mondo concettuale ed emozionale del soggetto e porlo in condizione di considerare i fatti che esperisce da un punto di vista tale da permettergli di affrontare meglio la situazione anziché eluderla.
La strategia è quella di rompere il sistema percettivo e le abitudini ricorsive che il soggetto mette in atto continuamente per mantenere il disturbo.
La ristrutturazione è una tecnica messa in pratica per ottenere il cambiamento di tipo 2 (Watzlawick et Al, 1974).

Con la ristrutturazione dello schema che si è maturato della realtà del singolo noi proviamo a definire una nuova concezione o interpretazione di essa senza fare ricorso ad una spiegazione logica o ad una forma di razionalizzazione. Spesso nella pratica psicoterapeutica viene naturale introdurre il paziente ad una spiegazione più razionale ed efficace che egli ha della sua malattia. Si parte per questo dalla spiegazione delle origini, su come il nostro sistema concettuale spiega la natura del problema utilizzando una serie di pratiche che fanno parte del modello di cui si è portatori.

La ristrutturazione fa uso della tecnica della sostituzione del sintomo.

Si tratta di una pratica paradossale che mette il soggetto nella condizione di utilizzare una forma di attacco al suo sistema percettivo usuale utilizzando il sintomo stesso che è stato una “creazione” del soggetto stesso al fine di renderlo protagonista e non più succubo del malessere che teme. La pratica più comune consiste in uno stratagemma chiamato “la peggiore fantasia” e consiste nel vivere in modo quanto più verosimile la propria situazione problematica, in contrasto con la sua proverbiale abitudine a sfuggirgli. La prescrizione del sintomo serve a “…smontare l’effetto contraddittorio dell’evitare ciò che ci fa paura, finendo al contrario per aumentare i nostri timori e il nostro senso di incapacità” ( Nardone, 1993; Nardone, 2005). Ad un balbuziente si può raccomandare di balbettare quanto più è possibile.”

 

Il sistema percettivo – reattivo dell’acufene

L’acufene si presenta quasi sempre come un suono, un fruscio o un tintinnio da cui nasce anche il termine tinnito o tinnitus. E’ percepito come estremamente fastidioso all’incirca dal 3 – 5 % della popolazione adulta in generale. Mentre una parte considerevole di chi lo sperimenta come sintomo di un malessere dell’orecchio, sia direttamente che indirettamente, lo vive come sintomo transitorio. L’acufene influenza fortemente il sonno, l’umore, la concentrazione e le normali attività quotidiane lavorative e comunicative in generale (Davis e El Refaie, 2000; riportato da S. Palmieri in Medicitalia, 2018.

Il malessere cronico acufene è lo stimolo che attiva il sintomo acufene. Per la maggior parte degli studiosi si crea un’associazione stabile e duratura tra la tendenza a rendere attivo uno stimolo nocivo e la risposta. Il suono “acufene” recupera un significato altro rispetto al danno per cui non c’è scissione tra ansia patologica e acufene.

La terapia tradizionale

L’approccio che mira ad eliminare l’acufene come un problema estinguendo le connessioni funzionali tra il sistema uditivo e il sistema nervoso autonomo e limbico per raggiungere l’abitudine alle reazioni provocate dall’acufene e successivamente l’abitudine alla percezione è oggi il Modello Jastreboff). Per eliminarlo bisogna creare un nuovo collegamento tra acufene e l’attività neutra (con uno stimolo neutro, come ad esempio un rumore naturale. Acufene e rilassamento diventano compresenti nel protocollo di trattamento.
Terapia sonora degli a. dott. G. Attanasio (www.acufeni.net).Tranquillizza gli ascoltatori e parla di fortuna e percorso comportamentale e sonoro. L’acufene aumenta o diminuisce in base al nostro umore e all’attenzione che gli attribuiamo.
Per gestire l’acufene bisogna sapere tollerare bene e sapere cosa fare e cosa non fare.

Sarà l’esperienza percettiva soggettiva a trasformare una condizione transitoria e poco significativa in una di insofferenza e dolorosa.
Viene trattato come di solito viene trattato il dolore. Viene ingigantito il danno che all’inizio è solo un fastidio ma poi l’atteggiamento della persona di fronte alla paura lo fa assurgere a dolore impellente e sempre più manifesto nelle situazioni più difficili e stressanti. Può anche assumere una connotazione fobica in quanto la paura rende il fastidio iniziale un danno che altera l’equilibrio emotivo e limita la vita sociale e lavorativa. In questo modo l’evento scatenante che normalmente non produce danni in persone particolarmente emotive e apprensive genera una paura che può diventare incontenibile.

 

Nell’approccio strategico viene affrontato l’acufene al pari di un disordine fobico. Il dubbio che diviene fissazione induce nel soggetto comportamenti di evitamento – “non devo pensarci” – e fuga da tutto ciò che potrebbe innescare la catena dei pensieri e delle emozioni negative. Ciò, anziché produrre effetti positivi si trasforma in mancanza di controllo e si traduce in impotenza e in sofferenza. Il tentativo mal riuscito del controllo viene trasmesso alle persone come messaggio che non è capace, che non è efficace, che non riuscirà mai a controllare il problema e che questo diventerà insostenibile e lo porterà alla pazzia. Nardone, nella descrizione della sintomatologia fobica così si esprime: “ …ciò che innesca il processo che condurrà alla costituzione di quello che noi definiamo il sistema percettivo-reattivo fobico, non è un evento frutto di una precisa e ricostruibile causalità, ma una sorta di fluttuazione del caso che conduce alla prima esperienza diretta o solo immaginaria di paura. Da tale primo casuale evento con una graduale ma dirompente reazione a catena, basata sulla retroazione tra soggetto e realtà, si giunge alla costituzione della grave sintomatologia fobica.”.

Conclusioni

La principale tentata soluzione per chi soffre di acufene è quella di mascherare il rumore di fondo con altri rumori o suoni e spesso ad alto volume. L’altra è quella di combatterlo utilizzando la forza di volontà.
Le tentate soluzioni impiegate dal soggetto portatore di acufene non avranno altro che l’effetto di approfondire il disturbo e renderlo fortemente disabilitante. Bisognerebbe allora usare una strategia che, a partire dalla rinuncia alle tentate soluzioni impiegate, conduca il soggetto ad utilizzare le stesse modalità percettive che lo hanno portato al danno. Nel nostro caso abbiamo utilizzato il sistema concettuale della sostituzione del sintomo.
L’unica via che condurrà al superamento del problema sarà quella di evitare di porre l’attenzione sul sintomo.
Sappiamo che l’attenzione al sintomo diventa il problema principale del candidato all’acufene in quanto esso funziona come imporre a qualcuno di non pensare a qualcosa che viene nominato e di cui il soggetto non riesce a fare a meno di pensare. Si tratta di una condizione chiara ed evidente a cui nessuno è in grado di sottrarsi.
Per cambiare la percezione del sintomo bisogna modificare direttamente il modo di organizzare le informazioni percepite, l’interazione logica tra soggetto e realtà. Essendo il sistema percettivo-reattivo del soggetto fortemente rigido, bisogna mettere in atto una o più strategie per aggirare la sua resistenza al cambiamento.
Il primo passo sarà quello di indurlo a fare qualcosa senza che egli se ne renda conto. Bisogna cioè, fare ricorso alle strategie e agli stratagemmi di cui si sono forniti i padri della terapia strategica come paradossi, trappole comunicative come il doppio legame terapeutico, le ingiunzioni, le ristrutturazioni e le prescrizioni di comportamento.

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Di Paolo Mancino Psicologo Napoli

Paolo Mancino è psicologo specializzato in terapia strategica. Svolge la professione al suo studio di Napoli, in via Scarlatti.

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