E’ il titolo di un ottimo libro sulla crisi degli adolescenti e sul nuovo ruolo del padre per aiutare il figlio in difficoltà.
“In alcuni casi i padri da lungo tempo assopiti e renitenti all’assunzione di responsabilità educative, si svegliano proprio durante l’adolescenza dei figli. Il fenomeno non è insolito, specie nelle famiglie dove un ragazzo entra in crisi. L’esplosione del dramma obbliga il genitore a intervenire per ristabilire l’ordine. In questo contesto è importante sottolineare come il significato profondo del gesto del figlio consista nel tentativo, spesso inutile e disperato, di svegliare il padre assente. La richiesta d’intervento, in altre parole, che a prima vista può sembrare sollecitata dalla madre o dai fratelli esasperati, viene in realtà proprio dal ragazzo, che scatenando la crisi si assume la responsabilità di restituirlo al suo ruolo di padre.
Se dovessi giudicare sulla base dei dati clinici, dovrei concludere che nessun padre che sia stato assente o violento durante l’infanzia del figlio, poi, giunta l’età dell’adolescenza, la passa liscia; non appena il bambino diventa grande il genitore deve pagare lo scotto della diserzione e generalmente la penitenza consiste nel doversi occupare a tempo pieno del suo ragazzo che ne combina di tutti i colori. Moltissime crisi hanno manifestazioni spettacolari: gli adolescenti infatti, tendono a pensare e a comunicare, piuttosto che con le parole, attraverso le azioni che sono spesso eclatanti in quanto trasgressive, rischiose, compiute in gruppo; e soprattutto hanno bisogno di una risposta mmediata.
Perchè l’adolescente a volte fa tutto questo?
A volte mi è sembrato che questa strategia consistesse nel tentativo del ragazzo di riportare alla madre il legittimo sposo lontano per potersi separareda lei senza il rimorso di averla lasciata sola.
In altri casi è invece chiaro l’intento vendicativo. Il figlio vede la crescita come momento di liberazione, essendo diventato grande aumenta il suo potere: con l’adolescenza arriva anche la resa dei conti e il padre disertore e violento sarà costretto a pagare. L’aspetto peculiare di queste vendette consiste nel fatto che l’adolescente arrabbiato non mette sul tavolo solo il prezzo dei torti subiti, ma si fa portavoce anche degli altri, come se fosse il rappresentante dei diritti traditi della madre e dei fratelli.
In realtà le cose non sono proprio come appaiono: dietro la voglia di punire il padre, il figlio nasconde il desiderio di riunire l’armonia della famiglia: prima di separarsene e diventare definitivamente grande, vuole che l’armonia perduta sia ristabilita. E’ chiaro che non sarà possibile; ma non è tanto importante che si riformi lìambiente che circondava il bambino durante l’infanzia, quanto il fatto che il suo comportamento sottolinei in modo perentorio l’esigenza di una risposta, immediatamente tradotta in azione, da parte del padre.
Questo è il metodo con cui gli adolescenti chiedono aiuto: vendicarsi del disinteresse patito nell’ifanzia e mettere alla prova il valore del padre. All’inizio questo è spiazzato, furibondo per la messinscena orchestrata dal giovane in crisi; in seguito, se si calma e capisce l’importanza della situazione, riesce quasi sempre a trovare le parole o i gesti per dare una risposta intelligente, non evasiva nè epressiva.
Scoprire il padre ed essere scoperti dal padre è forse l’autentica aspirazione di ogni adolescente, e a quelli arrabbiati a volte basta il minimo gesto.
Anche quando la famiglia trova un suo sostituto ogni intervento del giovane punta a ritrovare il nome del padre: solo questo può dare identità al figlio e risolvere la crisi. Tanto vale , allora, far intervenire subito il diretto interessato; si risparmia tempo e si evita di lasciarsi sfuggire di mano la situazione, anche perchè, se non si interviene tempestivamente, si rischia di perdere di vista la causa scatenante del problema, e di lasciarsi sconfiggere dall’estenuante rincorsa degli effetti.
Ogni risposta intelligente è un piccolo capolavoro di bricolage paterno: il figlio ne ha bisogno; anche se fa finta di niente e appare disinteressato, con la coda dell’occhio non smette mai di guardare in direzione del padre: gli basta un nulla, un espressione del viso o un cambiamento di tono nella voce. Tutti i padri che hanno avuto fiducia e si sono aperti a una risposta , ne hanno poi apprezzato infinitamente i risultati. Tutto è andato a posto come in un gioco a incastri; dietro la rabbia c’è sempre la voglia di padre. Lo sanno bene i fondatori delle comunità terapeutiche e degli istituti di riabilitazione, i quali indossano i panni del padre con un’enfasi magari caricaturale ma efficace. “I nostri ragazzi” come li chiamano, non hanno trovato il genitore all’appuntamento con il loro desiderio e si sono abbandonati a se stessi. Ne hanno combinate di tutti i colori finché alla fine, esausti, hanno sentito il bisogno di fermarsi in qualche posto, e sono capitati lì. E lì sono stati trattati malissimo da adulti che di mestiere raccolgono figli “orfani” e somministrano loro grandi dosi di valori paterni. Una volta inoculati questi principi -proprio come un “vaccino antirabbico” – i giovani sbandati rifioriscono. Così funziona l’adolescenza: senza la stima del padre, non si cresce.
Ai ragazzi cattivi bisogna restituire il padre, allora, altrimenti diventeranno adulti violenti, delinquenti che , privati da ragazzi di quello del genitore, finiranno per restare ammaliati dal carisma del “padrino” della cosca vincente:
Chi è alla ricerca del padre trova sempre nella banda., con la sua struttura gerarchica costruita intorno a un capo, una soluzione interessante ai suoi problemi.
Molti adulti si rendono conto, durante il trattamento psicanalitico, di avere trascorso metà della loro vita a cercare di vendicare l’adolescente incapace di disinganni che sono stati: il loro vero problema sta proprio nel fatto che non riescono a considerarlo tempo sprecato.
Una delle più frequenti cause è, ancora una volta, la lontananza del padre e i risvolti nostalgici di una mancata identificazione sessuale con esso.
La nostalgia durante l’adolescenza, soprattutto quando si manifesta nei confronti di esperienze e relazioni infantili, preoccupa qualunque padre. Il suo mandato è, infatti, quello di aiutare il figlio, ormai ragazzo, a elaborare il distacco dai piaceri dell’infanzia, indispensabile premessa per poter accedere a quelli ben più intensi della sessualità matura. Se la madre di solito non si allarma in modo particolare per le incertezze o per i ritardi nella scelta della sessualità adulta del figlio, il padre al contrario si preoccupa sempre moltissimo dell’orientamento sessuale dei propri figli soprattutto se maschi. Il padre sa che la scelta di un comportamento perverso da grandi si compie nell’adolescenza, perchè questo è il momento in cui si può decidere di rimanere bambini nei gusti e nelle fantasie erotiche. Tutti i sentimenti nostalgici , le fantasie perverse e i comportamenti non palesemente eterosessuali del figlio sono sempre interpretati dal padre come segnale d’arresto nel processo di crescita e come difficoltà ad evolvere verso forme più adulte di sessualità e di piacere. Di tale evenienza spesso accusa la madre, ritenuta complice e inconsapevole promotrice delle fissazioni dei figli e della loro insuperabile nostalgia nei confronti di pratiche e atti dovuti in parte al suo modo ambiguo di accudirli quando essi non sono ancora maturi. Il padre sufficientemente buono sarà allora quello capace di prevedere futuri possibili per i figli e di lavorare in funzione di un loro inserimento nella sfera dei rapporti eterosessuali. E’ perciò possibile ipotizzare che l’accesso all’eterosessualità e alla cultura della differenza sia più un compito paterno che materno.
Quando l’adolescente giunge a maturazione e riesce a mettere nella pratica sessuale la forza delle fantasie infantili, la sua capacità di godimento ne risulta potenziata. Ma non è un evento ,facile né immediato. La nostalgia per certi piaceri infantili richiede infatti un processo di elaborazione che è spesso fonte di conflitti, anche di natura etica.
Generalmente, il figlio che investe nella sessualità il suo capitale di nostalgia per le fasi precedenti di sviluppo, invia messaggi inquietanti e in contrasto fra loro: da un lato incoraggia e tranquillizza il padre esibendo scelte eterosessuali e sforzandosi di partecipare ai riti dei compagni, dall’altro non nasconde tratti di eccentricità, di disinteresse e quasi di disgusto per ciò che concerne i rapporti convenzionali. Questo comportamento fa trasalire il padre. Tuttavia il protrarsi di situazioni di questo tipo consente di solito a padre e figlio di elaborare un codice e un linguaggio che permettono di affrontare l’argomento e di superare così l’enorme imbarazzo iniziale.
Il figlio nostalgico è dunque molto ostile nei confronti del padre, soprattutto durante l’adolescenza matura , epoca in cui gli si richiede di scegliere fra l’opzione infantile e quella eterosessuale. Spesso vede in lui il principale responsabile delle proprie incertezze, perchè ha taciuto, o perchè non è intervenuto con tempestività.
Il padre finisce allora per trovarsi in grave difficoltà e a sua volta assillato da molti interrogativi. Più infatti è acceso e drastico il rifiuto del figlio nei suoi confronti,più -ovviamente- i canali di comunicazione si occludono:entrambi finiscono per parlarsi con il linguaggio enigmatico e retorico delle azioni e delle provocazioni. E’ una circostanza grave, poiché a un certo punto non è più possibile distinguere una provocazione dai normali messaggi.
La nostalgia rabbiosa di certi adolescenti è così assai spesso resa visibile mediante l’esagerazione del look, cioè attraverso la drammatizzazione scenografica di future scelte esotiche nell’area dei gusti sessuali: uno spettacolo allestito sempre per il padre. È lui che deve essere punito., E se possibile umiliato dall’esibizione sociale di un figlio diverso anche dalle sue aspettative; come è altrettanto vero che questa messinscena è solo il tentativo di dargli la parola. Il padre non ha scampo. Ora è obbligato a partecipare in prima persona e se non lo fa , sarà condannato all’inferno dell’irrisione e della beffa quotidiana allestite da un figlio costretto a punirlo: egli è stato la causa della scelta , non ha saputo impedirla né problematizzarla perchè ha taciuto nel momento in cui era stato invitato apertamente a prendere la parola.
Ogni padre in realtà può e deve fare molto per salvare il figlio dalla nostalgia, e forse il suo compito fondamentale è non lasciare il ragazzo nel regno delle illusioni materne, aiutandolo a disilludersi. Si tratta indubbiamente del compito più difficile; anche se è il più naturale, rischia di diventare estremamente complesso quando il genitore comincia a intervenire dopo il tempo massimo.
Per un adolescente di quindici anni è molto difficile riuscire a capire se ciò che avverte in maniera confusa è un vero e proprio desiderio omosessuale o se si tratta solo di un’angoscia omosessuale.
Per ogni ragazzo la scelta della propria condotta sessuale non è affatto una decisione che esclude i genitori; al contrario,è profondamente convinto che la questione li coinvolga in prima persona. La loro benedizione o la loro maledizione è l’aspetto cruciale di tutta l’intricata vicenda.
Negli ultimi anni la figura del padre è stata riconsiderata rispetto al passato.
Essa è ben più presente ed ha esercitato un ruolo in base a nuovi valori: ha rivisto il rapporto affettivo ed educativo con i figli e ha ricontrattato con la moglie la distribuzione del potere e delle funzioni nella società e all’interno della famiglia.
Mentre la relazione tra madre e figli è stata esplorata in profondità molto è stato detto e scritto sulla influenza che costei esercita nei disturbi della crescita, si è sempre parlato poco del rapporto padre-figli.
Eppure, tutti coloro che si interessano professionalmente a questioni educative connesse alle inquietudini adolescenziali sono convinti che la figura paterna sia fondamentale, perchè può contribuire a innescare situazioni di crisi durante lo sviluppo e perchè il suo apporto è sempre decisivo nell’aiutare a risolverle.
Non a caso, infatti, buona parte degli interventi terapeutici a tossicodipendenti o giovani con comportamenti devianti sono basati proprio sul padre, in questi casi spesso assente o incompetente.:durante il recupero si insiste fino al parossismo sulla trasmissione dei valori a lui legati e, il più delle volte,con soddisfacenti risultati.
Alcuni comportamenti devianti dei giovani che risentono della mancanza del padre hanno antecedenti emotivi di cui spesso non riusciamo a identificarne la causa.
La noia, la rabbia, la vergogna, la nostalgia che assalgono i nostri figli sono solo delle manifestazioni di un malessere che spesso si origina dalla vissuta assenza del padre.
Rispetto alle generazioni precedenti non sono però chiari i motivi che inducono oggi gli adolescenti a considerare la noia quasi un sinonimo di infelicità, qualcosa che si deve fuggire a tutti i costi, una sorta di malattia mentale capace di provocare un forte dolore da cui perciò , legittimamente, cercano di uscire al più presto. Questo paralizzante stato di torpore va eliminato a ogni costo anche esorcizzandolo con assurde sfide alla morte, senza chiedersi perchè lo si prova o aspettare che finisca. E i grandi “rimedi antinoia” sono le forme di devianza, le piccole bande, la fuga nell’isolamento, gli atti di vandalismo.
A mio avviso è indispensabile circoscrivere con chiarezza i compiti del padre, definire il suo ruolo, centrale e specifico, di rimedio contro la noia dei figli.
Anticipo la mia tesi: al bambino piccolo la madre è necessaria come sostegno nella scoperta della realtà e dei suoi inevitabili pericoli; il padre è fondamentale in seguito per aiutare l’adolescente a uscire dalla noia. Suo è il compiti di essere il tramite con la società, proponendosi come modello da imitare direttamente o indirettamente.
Senza padre i ragazzi restano legati al sogno infantile di essere onnipotenti e, così facendo, rifiutano di crescere e di vivere. Pertanto, per evitare l’eccessivo prolungarsi di questo stato d’animo, bisogna iniettare “funzioni paterne”, cioè quell’ insieme di valori culturalmente legati alla sua figura : altrimenti i figli corrono il rischio di iniettarsi qualcosa d’altro.
Come psicoterapeuta, sono convinto che l’interesse del padre per il figlio annoiato vada sempre recuperato. In qualche modo posso dire che il mio lavoro consiste nel tentare di “vendere” il figlio al padre, cercando di realizzare una sorta di operazione di marketing che metta in luce quegli aspetti che il genitore, ormai completamente sfiduciato e lontano dal suo ragazzo, non può notare né apprezzare.
Il distacco, infatti, spesso distrugge e riporta a zero il nascente senso di autostima del figlio, senza contare, poi, che il desiderio più profondo dell’adolescente non è affatto quello di togliersi il padre di torno nè di demotivarlo in modo radicale.
Anche se finge di non vederlo e – ancor più – di non ascoltarlo, in realtà, con la coda dell’occhio e la trepidazione nel cuore, ne scruta il volto, nota le reazioni alle sue imprese, quali che siano. In ultima analisi penso che bisogna riuscire ad avere fede nel principio secondo cui il figlio che rifiuta il padre è proprio quello che ha più bisogno della sua presenza.
Il padre del ragazzo annoiato ha tre compiti fondamentali da assolvere:
Sostenere l’ingresso nell’identità di genere, approvare e favorire il processo di separazione dall’area dei valori materni e, infine, non pretendere ad ogni costo che il figlio sia “normale”, ossia del tutto privo del minimo elemento di trasgressione.
Quella dell’assunzione dell’identità di genere riguarda una funzione fondamentale per il padre. La sua funzione essenziale è quella di spingere il proprio figlio a trovare la propria identità sessuale e a esserne consapevole.
Non ho dubbi al riguardo: che l’identità biologica coincida con quella psichica dipende in buona parte dalla qualità della relazione con il padre. Egli deve riuscire a dare un nome al figlio in quanto appartenente al genere maschile; così facendo egli riesce a legittimare anche tutti i diritti e i doveri dell’aspirante adulto, come per esempio lo spirito d’iniziativa, il sentimento etico, il piacere di affrontare i doveri e di assumersi delle responsabilità.
Viceversa, è provato, che i disturbi nella relazione tra padre e figlio , specialmente quando non c’è possibilità di relazione, interferiscono nell’acquisizione di una specifica e sicura identità virile. A risentirne di più sono il delicatissimo processo di separazione dalla madre, la nascita del sentimento di identità e la capacità di stabilire un accordo sentimentale con le donne.
Il padre deve aiutare il figlio adolescente a rinunciare alle ormai soffocanti attenzioni della madre; solo così potrà aiutare il ragazzo a staccarsi dal piccolo ambiente familiare e a trovare il coraggio di affrontare, da solo, la società.”
Gustavo Pietropolli Charmet
Docente di Psicologia Dinamica all’Università Statale di Milano.Giudice onorario del Tribunale per i minorenni di Milano.