Terapia strategica: fondamenti del metodo
I fondamentali della terapia strategica breve
Nell’approccio psicoterapeutico breve di Giorgio Nardone la figura dello psicoterapeuta non è più la stessa. Si passa dall’idea di considerare il paziente un malato da curare a quella di considerarlo una persona a cui bisogna risolvere dei problemi di comportamento.
Una raffinata strategia per ottenere il massimo con il minimo si avvale di stratagemmi terapeutici e di una sequenza di manovre costruiti ad hoc per le differenti tipologie di problema.
La trasformazione terapeutica avviene fin dal primo incontro con il successo annunciato e il riconoscere il problema mediante la sua risoluzione. La struttura fondamentale della terapia si basa sull’insieme del linguaggio evocativo, delle parafrasi e delle prescrizioni terapeutiche. Esse rappresentano quello che Nardone descrive come il dialogo strategico che porta al cambiamento.
La terapia strategica utilizza le dinamiche ipnotiche e ristrutturanti di Milton Erickson e i criteri strategici della teoria performativa della comunicazione circolare di Paul Watzlawick, di Gregory Bateson, di John Wickland, della scuola di Palo Alto in California che ha visto i migliori esperti sperimentare le terapie che hanno messo in crisi profonda la psicoanalisi e i suoi ricorsi al “perchè” senza risolvere nulla in anni di psicoterapia della interpretazione e delle libere associazioni.
Alla base del successo terapeutico della terapia strategica vi è la teoria costruttivista, la quale vede nel cambiamento la risposta più appropriata alla domanda di aiuto del paziente.
L’approccio strategico alla terapia si richiama direttamente alla filosofia della conoscenza costruttivista (Bannister,1977; Elster, 1979; von Glasersfeld,1979, 1984; von Foerster, 1970, 1973, 1974, 1987; Kelly, 1955, Maturana, 1978; Piaget, 1970, 1971, 1973; Riedl 1980; Stoltzemberg 1978; Varela 1975, 1979; Watzlawick 1981, 1976) si fonda sulla constatazione della impossibilità da parte di qualunque scienza di offrire una spiegazione assolutamente vera e definitiva della realtà, e su come la realtà sia, invece, determinata dal punto di osservazione del ricercatore/soggetto.
Non esiste una sola realtà ma tante realtà a seconda dei punti di osservazione. Da questa prospettiva epistemologica ogni modello interpersonale ha bisogno di essere sottoposto alla possibilità di falsificazione altrimenti viene classificato all’interno delle teorie autoreferenziali e i modelli teorici autoimmunizzanti. Per queste ragioni il pensiero strategico non si basa su una teoria che descrivendo la natura umana prescrive di conseguenza i concetti di sanità o di normalità comportamentale e psichica in opposizione a quelli di patologia, come è il caso delle tradizionali teorie della psicoterapia. Si interessa, invece, della funzionalità del comportamento umano di fronte ai problemi dell’esistenza e della convivenza tra gli individui in termini di percezione e relazione che ogni individuo vive con se stesso, con gli altri e con il mondo.
Sapere come fare e non più sapere “perché”
Il sistema percettivo-reattivo rigido di una persona problematica si esprime spesso nella ostinata perseverazione ad utilizzare una strategia che nel passato ha funzionato ma nell’attuale situazione funziona come un vero e proprio riverberatore del problema stesso. Quello che produce sono buone soluzioni ma che non sono adatte alla situazione attuale. Spesso può apparire strano e paradossale che gli sforzi mantengono la situazione nella sua problematicità. Proprio come accade nella storia dell’ubriaco che cerca le chiavi che ha perso da un’altra parte e, ad uno sconosciuto che vuole aiutarlo a trovarle risponde che è troppo buio dove le ha smarrite.(Vedi “Il teorema del lampione”)
Il primo passo della terapia è scardinare l’attuale sistema percettivo-reattivo della persona che lamenta il disturbo, una volta conosciuto e identificato mediante le tentate soluzioni. Successivamente, bisogna ristrutturare una condizione di consapevolezza alla nuova realtà più produttiva e realistica.
Le attuali visioni del cambiamento in psicoterapia
Il sistema percettivo – reattivo e il cambiamento
Percepire un fatto, una situazione, una persona o una soluzione nel contatto tra noi e il mondo, subito questo ci rimanda direttamente a come reagiremo per risolvere quello che riteniamo un problema in quel momento. “Percepire” vuol dire avere un’ idea e vivere emozioni al suo cospetto o al suo pensiero o evocandolo.
In una mente in cui permangono forti rigidità circa il cambiamento, le risposte sono lente e cristallizzate e, invece di cambiare di fronte a richieste nuove, cercano di adattarsi con vecchie risposte e soluzioni. Il risultato è che si rimane dentro una prospettiva congelata dalle solite risposte, racchiuse dentro schemi che la nostra natura stessa tende a riprodurre in quanto le migliori possibili fino a quel momento.
Per spiegare meglio le tendenze di un pensiero tendente alla rigidità c’è il test cosiddetto dei nove punti.
In un esperimento per studiare il fatto che la nostra mente si abitua a trovare soluzioni sempre le stesse – una fissità funzionale – vengono proposte delle prove tra le quali quella dei 9 punti è la più conosciuta.(Vedi Max Wertheimer: Il pensiero produttivo, 1936)
Le persone quando devono fare attraversare nove punti da 4 linee rette, senza mai sollevare la penna dal foglio, provano e riprovano passando sempre per le stesse tentate soluzioni, cioè quelle che ripercorrono una figura quadrangolare rimanendo sempre nel quadrato rappresentato dai nove punti. Pochissime ci riescono (a me tra gli amici, mai nessuno senza un piccolo aiuto). La risoluzione del problema non dipende dall’intelligenza ma richiede il possesso di un pensiero creativo che vada fuori dagli schemi usuali della tendenza che tutti abbiamo alle peculiarità percettive una volta definite dalla teoria della gestalt.
Per risolvere il problema dei 9 punti c’è bisogno di un “salto logico”, che permette la fuoriuscita dallo schema dentro il quale tutti siamo abituati a risolvere i problemi in quanto sarebbe impossibile risolvere il problema utilizzando quella che i teorici del costruttivismo (Watzlawick, 1974) chiamano realtà di primo ordine.
Ci vuole una realtà di secondo ordine.
Quella che l’autore descrive partendo da un sogno. Egli afferma: “L’unico modo per uscire da un sogno implica il cambiamento dal sognare all’essere sveglio”. Tutti gli altri cambiamenti che avvengono nel sogno finchè rimaniamo a sognare, sono descritti come cambiamenti di primo ordine.
In psicoterapia occorrono cambiamenti di secondo ordine, il cosiddetto salto logico della teoria dei sistemi.
L’approccio strategico, che utilizza quindi una strategia fatta di stratagemmi, utilizza proprio questi per incidere sulla percezione del paziente, per indurgli un cambiamento di secondo ordine, un salto logico che lo faccia uscire dalla gabbia proprio come vi sentireste se affrontaste anche voi la problematica del test.
Le nuove vie di cambiamento necessitano allora di uscire dalla “trappola” con i piccoli aiuti delle prescrizioni che lavorano al di fuori del sistema logico e dall’idea della comprensione logica o della conoscenza per consapevolezza.
Come insegna Nardone, ci avvaliamo di metafore, paradossi, parafrasi, trabocchetti comportamentali, suggestioni e ristrutturazioni per rompere la barriera posta tra voi e il cambiamento della vostra realtà percettivo-reattiva (cioè del comportamento).
Come dice Erickson, riportato da Nardone: ”la psicoterapia non si pone come obiettivo primario di far luce sul passato, che è immutabile, ma è mossa piuttosto dall’insoddisfazione per lo stato in cui attualmente versano le cose e dal desiderio di offrire un futuro migliore. Quale debba essere la portata e la direzione del cambiamento non può saperlo ne il paziente ne il terapeuta. Si sa però che la situazione presente va cambiata e una volta effettuato un cambiamento, per quanto piccolo, si rendono necessari altri cambiamenti di minor importanza il cui effetto a catena provoca altri cambiamenti di minor importanza, il cui effetto a catena provoca altri cambiamenti più importanti a seconda del potenziale del paziente.”
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