Comunicare consapevolmente
Questo lungo articolo riassume tutti gli articoli sulla comunicazione che ho riportato in questo blog.
La sua lettura accurata vi aiuterà a ricomporre il rapporto con le persone a cui tenete maggiormente.
Leggetelo attentamente e studiatelo se occorre.
Per un aiuto ancora più consistente potete servirvi del libro di P. Watzlawick “Change” e “La realtà della realtà”, Astrolabio. Buona lettura.
La riformulazione
Mentre state avendo una discussione animata e difficile con una persona provate la riformulazione di quanto è stato appena detto dal vostro interlocutore. Cercate, prima di dare un qualsiasi giudizio o esprimere qualsiasi valutazione, di ridire con parole vostre e sinteticamente quanto vi è appena stato riferito.
Se vi trovate a dare aiuto a qualcuno fate un passo ulteriore, cercate di riferire anche a parole le modalità espressive, il tono della voce e le emozioni che l’altro ha messo nella comunicazione.
Non è un compito molto facile.
Ebbene, se imparate a fare la riformulazione eviterete molti malintesi e vivrete i vostri rapporti con più soddisfazione.
Vediamo alcuni esempi
Ogni volta che qualcuno si lamenta per la sua salute o per qualche difficoltà incontrata nel lavoro, per il traffico o altro c’è sempre qualcuno che rilancia con difficoltà maggiori. Se fate mente locale all’ultima volta che avete detto al vostro collega di lavoro del fortissimo mal di testa che avete avuto, lui, di rimando, vi ha risposto che i suoi mal di testa sono di gran lunga più forti. E se parlate del vostro raffreddore? “Oh, non puoi immaginare quello mio della settimana scorsa !”. Oppure sminuire dicendo che tutti siamo stati o saremo raffreddati.
E se si tratta del traffico, ebbene ce n’è sempre uno peggiore. Insomma, è raro trovare una persona che risponda:” Davvero ? Mi dispiace” e chiede qualche informazione che dimostri di interessarsi a voi.
Talvolta l’ interessamento è così formale che uno se ne accorge in quanto non ascoltano nemmeno la risposta. Certamente ci sono persone con una diversa sensibilità ma spesso si tratta proprio di affinare le proprie competenze comunicative.
Se sappiamo che a qualcuno fa piacere che ci interessiamo a lui e trasmettiamo in questo modo schiettezza e autenticità, allora si fa presto a stabilire un buon rapporto.
Capita anche che la comunicazione efficace ci porti stati emotivi di piacere e soddisfazione e ci fanno stare meglio. In definitiva, ci aiutano a vivere meglio con gli altri in quanto ci restituiscono anche umanità e auto-efficacia nonché sentimenti di estroversione, altruismo e vicinanza emotiva.
In coppia
Vi sarà capitato di trovarvi in un particolare stato d’animo e chiedere al vostro partner di ascoltare e condividere la vostra soddisfazione per un successo conseguito nello studio o nel lavoro. Sarà anche successo che per vari motivi il vostro interlocutore non era in vena, anzi, meditava da tempo di rimproverarvi per qualcosa di cui non era rimasto contento. Allora ciascuno rimane deluso dal comportamento dell’altro. Ciascuno dei due rimprovera l’altro di non ascoltare e di non badare a lei/a lui. Ciascuno si aspettava di parlare e di essere compreso dall’altro per cui la indisponibilità funziona come ratifica di una delusione.
Errori nella comunicazione
Alcuni degli errori più comuni nella comunicazione sono dovuti a meccanismi ormai studiati a fondo dalla psicologia cognitivista: la lettura del pensiero, l’intendimento invisibile, il pensiero polarizzato, la profezia che si auto avvera, la distorsione, la proiezione e le conseguenze più o meno manifeste del pregiudizio. Vediamo qualche esempio.
“Come al solito…”
Per evitare molti malintesi è utile capire come funziona la mente quando subiamo una frustrazione o una delusione.
I malintesi di questo tipo e la pretesa di saper leggere nel pensiero del partner sono assai più frequenti di quanto le persone immaginano. Invece di rendersi conto che si tratta di una palese incomprensione, i partner in conflitto imputano erroneamente il problema alla “meschinità” o all’“egoismo” dell’altro o dell’altra.
Il nostro fallibile apparato mentale ci predispone a interpretare erroneamente il comportamento degli altri o a esagerarne il significato, a spiegarlo in senso malevole quando esso ci delude, a proiettare su di loro immagini negative. Agiamo allora in base a questi errori di interpretazione e muoviamo all’attacco proprio dell’immagine negativa che noi stessi abbiamo costruito.
Quando siamo in preda a uno stato emotivo, l’indeterminatezza di ciò che osserviamo ci può indurre in errore. Se siamo sconvolti o eccitati, è probabile che le nostre interpretazione dei pensieri e dei sentimenti altrui, della “realtà invisibile”, si basino più sui nostri stati interiori – le nostre paure e le nostre aspettative – che su una valutazione ragionata dell’altra persona. L’urgenza di arrivare immediatamente alle conclusioni è chiarissima in certi disturbi come la depressione e l’ansia, nei quali si ha un mutamento nell’elaborazione delle informazioni che porta a osservare le cose in un ottica negativa.
Per di più le conclusioni negative sono formulate con estrema rapidità e in base a indizi frammentari.
Una moglie depressa per esempio, può reagire a uno sguardo stanco del marito pensando immediatamente: “Non ne può proprio più di me”; e un marito ansioso reagisce alla moglie che di solito non si presenta in tempo a un appuntamento pensando “Può essere morta in un incidente”. In nessuno dei due casi ci si ferma un attimo a considerare le possibili alternative: la stanchezza di lui, la mancanza di puntualità di lei.
Il pensiero negativo porta a interpretare la realtà in modo pessimistico con una escalation di questo tipo:
“Perché non parla? Deve avercela con me. Devo aver fatto qualcosa che lo ha offeso. Continuerà ad essere arrabbiato con me. E’ sempre arrabbiato con me. Io offendo sempre tutti. Non piacerò mai a nessuno. Resterò sempre sola”.
Se vi interessa potete andare ad occuparvi del colloquio di aiuto cliccando il link seguente
Proseguiamo con la lettura del mezzo comunicativo nella coppia.
Sotto lo stesso tetto
Il matrimonio o la convivenza , differiscono dagli altri rapporti della vita. Quando due persone dello stesso sesso o di sesso diverso, vivono in coppia impegnate in un rapporto duraturo, si creano certe aspettative reciproche.
Spesso le coppie sanno comportarsi nel modo migliore con gli estranei, ma sono ben poche quelle che iniziano un rapporto tanto stretto con le nozioni o le capacità tecniche basilari atte a farlo sbocciare. Il più delle volte manca l’abilità necessaria per poter prendere decisioni in comune, per decifrare le comunicazioni del partner. Spesso l’intensità della relazione alimenta desideri da tempo latenti di amore, lealtà e appoggio incondizionati. I partner si impegnano, sia espressamente come nelle promesse matrimoniali, sia indirettamente con il modo di comportarsi per appagare questi bisogni profondamente radicati: ogni azione è impregnata da questi sentimenti e da queste aspettative.
Per l’intensità dei sentimenti e delle aspettative, la profonda dipendenza e i significati simbolici cruciali, spesso arbitrari che ciascuno attribuisce alle azioni dell’altro, i partner sono propensi a interpretarle erroneamente.
Quando avviene un conflitto, il più delle volte per effetto di una comunicazione carente, sono portati a incolparsi a vicenda invece di considerarlo come un problema che può essere risolto.
Con l’insorgere di difficoltà e il proliferare di ostilità e fraintendimenti, perdono di vista quanto di positivo ciascuno da all’altro e rappresenta per l’altro (un compagno che da appoggio, che rende più intense le esperienze personali, che partecipa alla costruzione di una famiglia) fino a giungere a mettere in discussione il rapporto in se stesso e a precludersi così la possibilità di sbrogliare i nodi che stravolgono il loro giudizio.
Oppure, nei casi dove il pensiero negativo anziché portare all’auto-commiserazione come prima, porta ad una reazione aggressiva e colpevolizzante l’altro:“……Devo aver fatto qualcosa che lo ha offeso. Come al solito reagisce nel modo peggiore con tutta questa aggressività. E’ insopportabile la sua pretesa. Dovrebbe essere punito. Dovrebbe avere una lezione”
Gestire la comunicazione
Sembra facile gestire la comunicazione ma spesso ci troviamo in preda ad errori di interpretazione e di significato che creano disappunto e frustrazioni per non sentirsi capiti.
Viceversa, superficialità, alcuni formalismi espressivi e cattive abitudini comunicative ci infondono diffidenza, facili tensioni, insoddisfazione e isolamento. A volte vere e proprie fughe dalla realtà e depersonalizzazione. Questi fenomeni sociali sono spesso alla base di sofferenze e stati d’animo depressivi.
I rapporti familiari
I rapporti familiari sono spesso fonte di diffidenza e paura. Se l’intesa nella coppia non è proprio idilliaca si cade nell’equivoco e si trasferisce involontariamente (inconsciamente) l’astio sull’altro attraverso l’utilizzazione dei figli.
Una moglie o un marito possono essere afflitti da sentimenti di gelosia che si caricano fino a esplodere in conflitto. In base al loro carattere il conflitto può essere aperto o nascosto.
Spesso si parla di una cosa intendendone un’altra e il discorso va avanti così come una partita a bigliardo dove si gioca di sponda. In tale comunicazione poco chiara si gioca sporco includendo altre persone di famiglia come suocera o cognate in questo modo trasferendo la propria aggressività su altri per paura di affrontare l’ansia della separazione o dell’abbandono.
In questi giochi psicologici* vengono coinvolti i figli con danni non indifferenti. Infatti, quando emergono sentimenti di essere rifiutati – come durante le separazioni coniugali – i figli vengono immediatamente utilizzati contro l’altro o l’altra. In questo modo si mette a repentaglio la crescita sana dei figli che diventano vittime sacrificali della disputa tra i genitori che riversano sui figli la frustrazione di sentirsi rifiutati. In altri casi gli stessi sentimenti di esclusione agiscono allorquando si crea una competizione esasperata tra suocera e nuora. I tre: Lui, lei e l’altra si rimpallano le accuse e le responsabilità.
Vediamo un esempio
“Mia moglie mi ha appena ricordato che bisogna fare qualcosa per nostra figlia che non sta studiando negli ultimi tempi e i risultati a scuola sono preoccupanti.
Da parte mia mi succede che il lavoro non va molto bene e sono alquanto preoccupato ma non voglio dirglielo per non aumentare le sue ansie. “
Lei:”Hai parlato con Anna ?”
Io: “Con tutto quello che ho avuto da fare ieri mi sono proprio dimenticato”
Lei:”Come al solito. Non si può fare affidamento su di te. Te l’ho detto anche la settimana scorsa e te ne sei altamente fregato”
Io: “Pare che io non abbia niente altro da pensare e mi gratto la pancia da mattina a sera come fai tu”
Lei: “Ma se io non faccio altro che andare avanti e indietro per stare appresso alla casa e alla cucina e ai panni da stirare e occuparmi di voi che non trovo il tempo per niente altro. ”
Io: “Mi devi spiegare come mai mia madre ha allevato quattro figli senza mai lamentarsi mentre per te ogni cosa sembra una fatica enorme?”
Lei: “ Metti sempre in mezzo tua madre. Sei sempre stato il cocco di mamma e io mi sono stancata di essere sempre paragonata a lei”.
La richiesta ci mette poco a trasformarsi in litigio e l’unica conclusione è l’amaro in bocca per non essere riusciti a risolvere un problema. Intanto, forse la ragazza va male a scuola proprio perché i genitori non stanno più in armonia. Ma questa è un’altra storia. Rimane, tuttavia tra i due la sensazione netta di non capirsi e ciò sta alla base di una spirale che affligge e mantiene il rapporto insoddisfacente.
Un esempio di buona comunicazione (con uso della riformulazione)
Quando la comunicazione è buona si vive meglio e i rapporti non solo sono più chiari e soddisfacenti ma si cade meno nella incomprensione e nel litigio. Ma anche il litigio va saputo gestire. Il litigio (conflitto) diventa l’origine del chiarimento. La conclusione del litigio diventa una strategia altamente proficua proprio come accade nelle dispute ai livelli più alti.
Vediamo un esempio di riformulazione nel colloquio seguente.
Ragazza 16 enne che si lamenta con la madre del comportamento delle sue compagne di classe.
Ragazza:“Non mi considerano proprio. Quando parlano di ragazzi si riuniscono e a me mi escludono. Ma cos’ho che non va? Perché fanno così ?”
Madre: “Mi stai dicendo che le tue amiche ti escludono per qualche ragione che non sai. E’ così?”
Ragazza: “Milena specialmente. Dice che io non so mantenere un segreto”
Madre: “Mantenere un segreto è importante per le tue amiche. Perciò ti escludono”
Ragazza: “Ma io solo una volta ho detto a Marco di lei. Che usciva anche con Paolo”.
Madre: “Stai dicendo che hai tradito la tua amica per questo ce l’ha con te ?”
Ragazza:” Si. Ma a me è dispiaciuto tanto e ammetto di avere sbagliato. Ma non glielo dirò mai”
Madre:” Stai dicendo che hai difficoltà ad ammettere le tue colpe?”
Ragazza:” Si. Eppure vorrei tanto riuscire a scusarmi con lei”
Madre:” Vorresti scusarti ma non ci riesci… piccola mia”.
Con queste parole la madre si accorge che la figlia sta per scoppiare in una crisi di pianto e l’abbraccia. Con l’espressione “piccola mia” la madre ha coinvolto la figlia in una manovra avvolgente: le ha fatto sentire protezione e accoglienza. La ragazza ha potuto così esprimere i suoi sentimenti conseguenti alle sue difficoltà comunicative ed ha, inoltre, ricevuto la spinta giusta a mettere in atto i migliori comportamenti suggeriti implicitamente dalla madre.
Il colloquio appena riportato è un esempio di come l’ascolto comprensivo con la procedura della riformulazione aiuta a risolvere un problema ma soprattutto conferma l’appoggio che una madre può dare a sua figlia in difficoltà. Non si tratta solo di un fatto occasionale.
L’ascolto comprensivo con riformulazione aiuta a creare rapporti significativi cioè mette le persone nelle condizioni di essere soddisfatti della loro comunicazione al punto che esse cercano nell’altro collaborazione e sostegno.
Gli effetti comunicativi della narrazione
Il racconto o narrazione può essere apprezzato molto nella comunicazione.
Se fate attenzione a come certi personaggi raccontano le storie della loro vita troverete certamente quelli che, spinti da una eccessiva enfasi arricchiscono i loro racconti con dettagli di tale coloritura che risulta difficile credere che ciò sia veramente accaduto. C’è infatti, chi racconta le sue storie arricchite da dettagli che poi risultano in effetti falsi ma a cui è molto difficile discriminare in quanto il loro coinvolgimento non lascia adito a dubbi.
Reagan, l’ex presidente degli USA, amava citare un episodio della seconda guerra mondiale che, come lui diceva, lo aveva molto impressionato e commosso.
L’aereo sul quale si trovava era stato colpito dal fuoco nemico e il comandante aveva dato l’ordine di gettarsi col paracadute. Nel momento che anche lui sta per abbandonare l’aereo però, si accorge che un giovane militare, gravemente ferito non è in grado di muoversi e saltare fuori insieme a tutti gli altri. Allora il comandante si toglie il paracadute e gli si avvicina: “Non ti lascio, ragazzo”, gli dice con serena fermezza, “l’aereo lo portiamo giù insieme”.
Qui di solito la voce di Reagan si incrinava per la commozione e spesso spuntava anche qualche lacrima. Peccato, però, che quella che considerava una storia vera, e che come tale andava raccontando a mezzo mondo, altro non fosse che la sequenza di un vecchio film. Nei momenti di lucidità Reagan considerava questo il racconto di un momento patriottico tratto da un film ma mentre lo raccontava era difficile credere che non fosse veramente capitata a lui.
La Comunicazione paradossale
Il filosofo Karl Popper sosteneva, scherzando, di avere spedito ad un amico il seguente messaggio*:
Caro MG
Ti prego di rispedirmi questa cartolina, abbi però cura di scrivere “sì”, o qualunque altro segno di tua scelta, nel rettangolo vuoto a sinistra della mia firma se, e soltanto se, ritieni legittimamente predire che io, ricevendo di ritorno la cartolina troverò questo spazio ancora vuoto.
Cordialmente
K.R. Popper
A questo punto se vi sentite un po confusi non vi impressionate. Si tratta di un messaggio paradossale.
I messaggi paradossali hanno la caratteristica di contenere affermazioni che si contraddicono, per cui una affermazione esclude l’altra. Dato che la nostra mente ha bisogno di comprendere, si crea un defoult, una confusione che fa bloccare il pensiero. Tornando ripetutamente sul significato cercheremo di dare senso alle affermazioni in toto ma senza riuscirci. Gli effetti possono essere decisamente destabilizzanti e, nelle relazioni significative, creare un black out della mente e una deviazione del pensiero con influenze sulla percezione.
Nella lettera si chiede di mettere un segno nel rettangolo vuoto ma alla condizione che il ricevente troverà quello spazio vuoto. Se metto un segno, quello rimarrà, a meno che non usi un inchiostro che si scolori col tempo. Questa può essere una soluzione, ma è molto fantasiosa, cioè illogica. Perchè mai dovrei scrivere qualcosa destinata a te se poi deve scomparire ?
La comunicazione digitale e analogica
Abbiamo detto che quando parliamo con qualcuno il nostro linguaggio non è solo quello espresso con le parole ma ci sono anche numerosi altri segnali
che aiutano la comunicazione. I segnali del corpo si esprimono per chiarire ed essere convincenti. Tutti gli altri segnali del corpo ad esclusione del linguaggio verbale, compreso il tono della voce, fanno parte della cosiddetta comunicazione non verbale. Nelle lingue parlate, proprio per il fatto di essere “inventate”, il loro significato non può essere accessibile a tutti. Viceversa, provate a farvi capire con il linguaggio dei gesti. Vi sarete certamente accorti che questo è universale in quanto compreso da tutti gli esseri umani e anche da qualche animale.
Il linguaggio dei segni è quello espressivo e arcaico (analogico) mentre quello verbale è digitale, cioè è collegato arbitrariamente a un certo significato. Per comprendere meglio le differenze, immaginate un orologio con le lancette (digitale) e uno con scritta l’ora con i numeri direttamente (analogico). Nel primo caso bisogna ricavare l’orario mentre nel secondo la lettura è immediata. Così come per l’orologio, nella comunicazione analogica il messaggio è più chiaro e diretto mentre in quella digitale il messaggio può essere ambiguo. Perciò, quando si comunica, in certi contesti difficili, può capitare che le parole che diciamo hanno un significato diverso da quello che, invece, trasmette il corpo a nostra insaputa. Il corpo dice la verità su quello che pensiamo mentre il linguaggio verbale può essere solo formale o di circostanza.
L’ incongruenza tra messaggio verbale e quello non verbale può divenire la regola e non l’eccezione. In questi casi il disagio non è solo di chi lo produce ma anche per coloro a cui è rivolto.
Il messaggio cosiddetto paradossale non è solo quello che viene trasmesso attraverso il linguaggio verbale, come abbiamo visto sopra, ma anche allorquando c’è incongruenza e contraddittorietà tra quello che si dice e quello che si vuole trasmettere.
Un paradosso, è un ragionamento che appare contraddittorio, ma che deve essere accettato, oppure un ragionamento che appare corretto, ma che porta a una contraddizione: si tratta, secondo la definizione che ne dà Mark Sainsbury, di
“una conclusione apparentemente inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile“.
Il paradosso più antico è quello di Epimenide Cretese, che diceva: “Tutti i cretesi sono bugiardi.” Se Epimenide dice la verità, la sua affermazione non è valida, in quanto è membro di una classe – i Cretesi – che è stata definita come una classe di mentitori. Se Epimenide dice il falso e tutti i cretesi non sono bugiardi, la sua affermazione non è valida, perchè sta includendo se stesso, un bugiardo, in una descrizione dei membri di una classe composta di persone che dicono la verità. (Da Gurman e K.).
Nel romanzo di J. Heller, Comma 22, Yossarian è un pilota americano durante la seconda guerra mondiale che sente di diventare pazzo per le continue incursioni aeree che è costretto a compiere. Yossarian ne parla con il dottor Daneeka, l’ufficiale medico di volo. L’ufficiale medico, usando come esempio un altro pilota, un certo Orr:
“E’ pazzo Orr ?”,
“Certo che lo è”, disse il dottor Daneeka,
“Puoi esonerarlo ?”,
“Certo che posso. Ma prima lui deve chiedermelo. Questo fa parte della regola”.
“E allora perchè non te lo chiede?”.
“Perchè è pazzo”, disse il dottor Daneeka. “Deve
essere pazzo per il fatto che continua a volare dopo aver sfiorato la morte così tante volte. Certo, posso esonerare Orr. Ma prima deve chiedermelo lui”,
“Questo è tutto quello che deve fare per essere esonerato ?”,
“Questo è tutto. Basta che me lo chieda”,
“Allora, dopo che lui te l’ha chiesto, puoi esonerarlo?”,
“No, dopo non posso esonerarlo”,
“Vuoi dire che c’è un comma (Catch si traduce anche con “tranello” in inglese)?”,
“Certo che c’è un comma”, rispose il dottor Daneeka. “Il comma 22. Tutti quelli che desiderano essere esonerati dal volo attivo non sono veramente pazzi”.
(Da P. Watzlawick, La realtà della realtà)
La comunicazione paradossale nasce dai due livelli della comunicazione, quello verbale come “digitale” e quello non verbale come “analogico” (si faccia riferimento all’orologio digitale e analogico per comprendere).
Nell’essere umano i due canali della comunicazione, verbale e non verbale, sono usati simultaneamente e si influenzano a vicenda. Un messaggio verbale può essere cancellato dal messaggio non verbale della comunicazione.
Per esempio un membro della famiglia può dire a un altro, “Ti ascolto” e intanto voltarsi a guardare la televisione oppure a continuare a parlare al telefono. Si ammette che il canale non verbale della comunicazione si pone a un livello superiore. Ci sono pertanto diversi livelli di comunicazione.
Il canale non verbale sarà “meta” rispetto all’altro. Ogni affermazione contiene non solo un contenuto che informa il ricevente ma anche il messaggio di come deve essere letto il messaggio, ciò che viene chiamato l’aspetto di “comando”. Il comando, contiene l’informazione su come deve essere inteso il contenuto informativo del messaggio, cioè a proposito del senso o significato (ad esempio serio o giocoso, generale o specifico) da attribuirsi all’affermazione, o se l’importanza deve essere data al tono, alle parole o al comportamento para verbale. Spesso i due livelli del messaggio sono congruenti, così che il “comando” rinforza la “notizia”. Però, ci sono delle comunicazioni nelle quali un livello contraddice l’altro.
La comunicazione deittica
Due carissimi amici camionisti si incontrano dopo molto tempo:
Rosario: “Pezzo di stronzo, di un bastardo…in quale fogna ti eri cacciato ?”
Gennaro: “Cornuto, schifoso, ma tu guarda quante corna hai messo in tutto questo tempo…”
Se non vi avessi annunciato che si trattava di due amici, avreste pensato al dialogo tra due litiganti che arrivavano presto alle mani. Il Messaggio di “Comando” in questo scambio è quello fondamentale, quello che dirige e da senso alla comunicazione, non le parole! Il canale non verbale (il tono della voce, lo sguardo, la mimica facciale, il movimento del corpo), il contesto e le intenzioni ci informano che la comunicazione ha uno scopo preciso, in questo caso e in tutti gli altri.
Il paradosso è un potente stimolo per la riflessione. Ci rivela sia la debolezza della nostra capacità di discernimento sia i limiti di alcuni strumenti intellettuali per il ragionamento.
Nelle neuroscienze sono noti molti paradossi dovuti all’imperfezione dei sensi, o all’elaborazione dei dati da parte della mente. Ad esempio, è possibile creare un suono che sembra crescere sempre, mentre in realtà è ciclico. Per il tatto, basta provare con un compasso a due punte: sul polpastrello si percepiscono due punte separate di pochi millimetri, mentre sulla schiena se ne percepisce solo una anche a qualche centimetro. Oppure si immergono le mani in due bacinelle di acqua una calda e una fredda; dopo un paio di minuti si immergono entrambe in una bacinella tiepida, e si avranno sensazioni contrastanti: fredda e calda. Le illusioni ottiche sono un altro esempio di paradossi sensoriali. (da Wikipedia).
È stato così che paradossi basati su concetti semplici hanno spesso portato a grandi progressi intellettuali. Talvolta si è trattato di scoprire nuove regole matematiche o nuove leggi fisiche per rendere accettabili le conclusioni che all’inizio erano “apparentemente inaccettabili”. Altre volte si sono individuati i sottili motivi per cui erano fallaci le premesse o i ragionamenti “apparentemente accettabili”. Per comprendere meglio le dinamiche comunicative e relazionali che intervengono in certe situazioni consideriamo il seguente fatto.
“Una madre può vedersi come l’unico ponte tra il marito e i figli: se non fosse per lei non ci sarebbe alcun contatto tra lui e loro. Ma il marito, lungi dal condividere questo punto di vista, vede invece il comportamento della moglie come un ostacolo tra lui e i figli: se non fosse per gli interventi e i controlli costanti della moglie, egli potrebbe avere un rapporto assai più intimo e cordiale coi figli. Quello descritto non è semplicemente un modo di comportarsi invece di un altro. I due genitori vedono diversamente il loro presunto ordine e ciò dà a tali eventi significati diametralmente opposti.” (da P. Watzlawick, La realtà della realtà).
Come potrete comprendere, si tratta di due modi di concettualizzare la realtà la quale deve necessariamente essere ordinata secondo un senso. Nel gergo della “pragmatica della comunicazione umana” si tratta di “punteggiare” la comunicazione.
Vediamo un altro caso tratto da “La realtà della realtà” , di Paul Watzlawick.
Un marito nutre l’impressione – non ha importanza per i nostri scopi se a ragione o a torto – che a sua moglie non piaccia farsi vedere in pubblico con lui. Un certo incidente gli fornisce una prova ulteriore di questa impressione: erano un pò in ritardo per uno spettacolo, e mentre camminavano in fretta dalla macchina al teatro, la moglie, secondo il marito, continuava a rimanere un pò indietro.
“Nonostante rallentassi il passo”, lui spiega al terapeuta, “lei rimaneva sempre alcuni passi indietro”. “Ma non è vero” risponde la moglie con indignazione, “nonostante affrettassi il passo, lui rimaneva sempre alcuni passi avanti”.
I due partner avevano visioni contrastanti del loro rapporto e “punteggiavano” la realtà in modo conflittuale. E’ molto probabile che ciascuno rimarrà inconsapevole delle reciproche visioni contrastanti e presumerà ingenuamente che , dal momento che esiste solo una realtà e una visione giusta di essa (la propria), l’altro deve essere folle o cattivo per vedere le cose diversamente.
I due coniugi potrebbero essere paragonati a due persone che cercano di essere logiche mentre parlano due lingue diverse, o a due giocatori che cercano di partecipare a un gioco, ciascuno con un suo insieme distinto di regole, e che si sentono sempre più frustrati reciprocamente e nei confronti del gioco.
Consideriamo questo brano tratto da Mary Poppins:
Mary Poppins, una bambina inglese, ha portato i due piccoli a lei affidati, Jane e Michael, alla pasticceria della signora Corry, una donna anziana, minuta, dall’aspetto di fattucchiera, che ha due figlie grandi e tristi, Fannie e Annie. Ecco la conversazione che ha luogo:
“Suppongo cara”, si rivolge a Mery Poppins, che sembrava conoscere molto bene, “suppongo che siate venuti per un pò di pan di zenzero ?”.
“Proprio così signora Corry”, disse Mery Poppins cortesemente.
“Bene, e Fannie e Annie ve l’hanno dato ?”. Guardò Jane e Michael mentre poneva questa domanda.
“No, mamma”, disse Miss Fannie, mitemente.
“Stavamo proprio per farlo, mamma…”, comiciò a dire Miss Annie in un sussurro spaventato.
A sentir ciò, la signora Corry si raddrizzò in tutta la sua altezza e osservò con furore le sue gigantesche figlie. Poi, con voce bassa, feroce, terrificante, disse: “Stavate proprio per farlo? Oh, davvero! Molto interessante. E chi, posso chiedere, Annie, ti ha dato il permesso di dar via il mio pan di zenzero…?”.
Nessuno, mamma. E non l’ho dato via. Solo pensavo…”.
“Solo pensavi! Molto gentile da parte tua. Ma ti ringrazierò se non penserai. Io sono perfettamente in grado di pensare tutto quello che è necessario quì!”, disse la signora Corry con la sua voce bassa, terribile. Poi irruppe in una risata stridula.
“Guardatela ! Ma guardatela ! Fifona ! Piagnucolona !”, strillò. Indicando col dito nodoso la figlia.
Jane e Michael si volsero e videro una grande lacrima che scorreva sul viso enorme e triste di Miss Annie, ma non vollero dir nulla, poichè, nonostante la sua piccolezza, la signora Corry li faceva sentire piuttosto piccoli e spaventati…
In trenta secondi la signora Corry è riuscita a bloccare la povera Annie in tutte e tre le aree del funzionamento umano: agire, pensare e sentire.
Quello che avete appena letto si chiama doppio legame nella comunicazione. I doppi legami hanno in comune di essere tutti strutturati come i paradossi (antinomie) della logica formale. Benché non siamo esperti della logica formale, quello che ci invita ad approfondirne quì è la loro importanza pratica nella comunicazione soprattutto per gli effetti schizogeni che provocano.
Per rendersene conto bisogna fare riferimento agli esperimenti fatti negli anni 50 e 60 al Centro MRI di Palo Alto in California.
S. Gurman e D. Kniskern, che hanno riportato molti risultati di questi studi, riferiscono che “La teoria del doppio legame è considerato il contributo più importante del gruppo di Palo Alto all’applicazione della teoria della comunicazione alla famiglia e alla schizofrenia.
Comunicazione e Doppio legame
Esempi di comunicazione disfunzionale, con risvolti parossistici, sono rappresentati dalla modalità comunicativa del doppio legame descritto da Bateson fin dagli anni 50 negli studi sulla schizofrenia.
L’esempio più citato di doppio legame ci viene dall’osservazione dell’interazione tra un figlio schizofrenico e la madre durante la visita di quest’ultima in un ospedale psichiatrico.
“Contento di vederla le mise d’impulso il braccio intorno alle spalle, al ché ella si irrigidì: egli ritrasse il braccio, e la madre gli domandò: “ Non mi vuoi più bene ? “ Il ragazzo arrossì e la madre gli disse ancora “Caro, non devi provare così facilmente imbarazzo e paura dei tuoi sentimenti.”. Il paziente non potè restare con la madre che per pochi minuti ancora e dopo la sua partenza aggredì un inserviente e fu messo nel bagno freddo”. (Bateson, Gefferson e al. 1956).
Nella interpretazione degli autori, Il ragazzo, usando un canale comunicativo diverso ad un diverso livello logico evitava non uno ma due legami. Il primo riguardava l’incapacità del figlio di commentare il duplice messaggio materno. Il secondo legame, “meta” rispetto al precedente lo condiziona e lo spiega: il figlio era in qualche modo tanto dipendente dalla madre da non essere in grado di distanziarsi da lei, né verbalmente né fisicamente. In qualche modo la madre lo “legava” e lui era la sua “vittima”.
Paul Watzlawick distingue tre livelli del tema paradossale*.
In un primo livello, se un individuo viene punito da un altro significativo, per la percezione corretta del mondo esterno o di sè stesso (ad esempio, un bambino da un genitore), imparerà a diffidare dei dati dei propri sensi.
Di conseguenza troverà difficile comportarsi appropriatamente sia nei contesti interpersonali che in quelli impersonali. Tenterà, inoltre di impegnarsi in una ricerca inutile di significati che gli altri vedono ma che lui non riesce a vedere.
In un secondo livello un genitore può aspettarsi che un figlio abbia sentimenti diversi da quelli che realmente prova, quest’ultimo si sentirà in colpa per essere incapace di sentire ciò che dovrebbe per ottenere la sua approvazione. Un dilemma di questo genere sorge allorquando se il bambino si sente occasionalmente triste, questa tristezza viene percepita dal genitore come un suo fallimento. Il genitore reagisce allora tipicamente con il messaggio: “Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te dovresti essere felice”. La tristezza viene allora associata con la cattiveria e l’ingratitudine.
Nel terzo livello si ricevono degli ordini che contemporaneamente esigono e proibiscono talune azioni, insorge una situazione paradossale in cui il bambino può ubbidire soltanto disobbedendo. Tipico è il caso in cui un genitore vorrebbe che il figlio fosse rispettoso della legge a parole ma nella comunicazione non verbale trasmette invece il messaggio opposto, cioè, di farsi valere anche con le maniere forti e trasgredire la legge. Tra il dire e il fare…..
E’ questa la distanza tra l’esprimere a parole una regola e trasmettere, invece, attraverso la compiacenza di un sorriso, l’ammiccamento e l’intero linguaggio del corpo come abbracciare, sorridere e, più in generale accogliere, un desiderio opposto. Nelle famiglie è di questo tipo il messaggio che prevale anche se formalmente un genitore si esprime a parole con affermazioni anche categoriche. Il bambino comprende immediatamente il messaggio che risulta vero, cioè quello intenzionale espresso con il linguaggio del corpo.
Nel rapporto con un animale domestico, un cane o un gatto, ma anche con un cavallo o una scimmia, se la parola contraddice l’azione, l’animale comprende solo il messaggio contenuto nell’azione. Come, ad esempio, risulterà familiare a chi possiede un cane. Prendere il guinzaglio come di solito si fa per far uscire il proprio cane è un messaggio chiarissimo per l’animale. Pronunciare contemporaneamente la frase: “non ti muovere” non costituisce un comando ulteriore per l’animale. Forse l’espressione e il gesto che accompagnano l’espressione verbale gli potranno procurare qualche incertezza.
Tornando alla comunicazione umana, supponiamo che una moglie bisognosa di un segno di affetto da parte del marito gli dica: “vorrei tanto che tu qualche volta mi portassi dei fiori”. La richiesta metterà la coppia in un vicolo cieco per la ulteriore comunicazione a proposito. Infatti, se il marito ignorerà la richiesta la moglie si sentirà insoddisfatta; ma se le porterà adesso dei fiori lei si sentirà ugualmente insoddisfatta, dal momento che lui non l’avrà fatto di propria iniziativa.
Le situazioni di impasse simili verranno a costituirsi ogni qualvolta un genitore accusa il figlio o la figlia di essere troppo passivo o ubbidiente. L’eventuale reazione da parte del figlio di disubbidire si configura in questo caso come un ulteriore atto di ubbidienza in quanto il ragazzo avrà ubbidito al padre o alla madre. Il ragazzo può ubbidire soltanto disubbidendo.
Questo paradosso viene indicato con la prescrizione : “Sii spontaneo”. In questo caso il giovane non potrà essere spontaneo proprio in quanto gli viene richiesto.
Il modello “sii spontaneo” è universale in quanto può pervadere tutti gli aspetti dell’interazione umana. Spontaneità, fiducia, coerenza, dimostrabilità, giustizia, buon senso, potere e molti altri concetti simili , possono condurre al paradosso e al doppio legame nella comunicazione.
LA COMUNICAZIONE CHE GUARISCE
Comunicazione interpersonale e trasformazione
“Ogni qualvolta nella comunicazione interpersonale si ha una alterazione dello stato emotivo si producono conseguenti effetti sul corpo.”. Lo studio di questa insolita forma di comunicazione ci interessa particolarmente poiché mette in relazione gli apprendimenti inconsci e gli effetti di questi sullo stato di salute o di malattia. I risultati sorprendenti e inattesi di questa speciale forma di comunicazione che molto spesso non vengono sostenuti da alcuna base teorica, tanto meno scientifica, si potrebbero attribuire al potere della suggestione e ai risvolti pratici della comunicazione.
Quando siamo in preda a forti emozioni come nel caso di minaccia alla incolumità, in pericolo di morte come nel caso di una aggressione, la composizione corporea e la composizione del sangue subiscono profondi cambiamenti. L’aspetto esterno subisce alterazioni evidenti di natura psicosomatica. Gli effetti di queste alterazioni sono conseguenza del nostro stato emotivo e delle modificazioni che subisce il nostro sistema percettivo.
Effetti sul corpo di alterazioni dello stato emotivo
Possiamo procurarci cambiamenti con la suggestione
Le alterazioni nel corpo dovute a modificazione e alterazioni fisico-chimiche e ormonali possono sopravvenire anche per effetto di suggestioni cioè, anche quando un fenomeno o un evento che ci ha provocato un trauma o una reazione emotiva particolarmente forte, venga soltanto evocato, ricondotto al momento attuale, nel quì e ora. Il fenomeno è stato studiato per cui si sa da molto tempo che “accade qualcosa al nostro corpo quando in seguito a suggestioni particolarmente forti si determinano alterazioni fisiche come l’orticaria , arrossamenti della cute, disturbi in varie parti del corpo fino alla comparsa di ecchimosi o segni di lesioni altrimenti inspiegabili”. L’alterazione dello stato emotivo può avvenire in seguito a fenomeni naturali violenti, per adattamento in certi ambienti difficili e nella comunicazione interpersonale.
La comunicazione che guarisce
Da quanto definito fino ad ora “le infinite volte che qualcuno subisce una trasformazione in senso inverso, cioè dallo stato di malattia fisica a quello di guarigione per mezzo dell’influenza esercitata da altre persone solo con l’uso delle parole, possiamo chiamare in causa l’effetto della comunicazione linguistica, ovvero di una particolare comunicazione linguistica. Allora si tratta di un particolare linguaggio che può essere studiato ed appreso.”(Watzlawick). Possiamo aggiungere che sulla base di una interazione verbale – simbolica si può determinare un cambiamento di ordine pratico inspiegabile con i comuni mezzi offerti dalla medicina ufficiale.
Nella cura delle malattie psicosomatiche
ciò avviene sistematicamente. Con il solo mezzo della comunicazione linguistica vengono prodotti effetti sensazionali e strane e inaspettate guarigioni.
L’aspetto più sorprendente è costituito dal fatto che è possibile invocare il coinvolgimento di una forma di volontà assolutamente inconscia che è in grado di determinare il cambiamento nel senso desiderato. Dall’esperienza che ho maturato sono in grado di affermare che l’apprendimento inconscio è in grado di esercitare una influenza sul sistema psico fisico attraverso la comunicazione verbale e di altre forme comunicative.
La comunicazione, nelle sue forme più complesse, ha una influenza sul cambiamento personale in quanto può mettere in moto il personale sistema concettuale, per cui definisce e induce comportamenti coerenti con il sistema dei valori e delle credenze.
Un esempio che fa leva sul sistema delle credenze e dei valori è espresso con suprema bravura nel film “Il padrino”, parte seconda, di Francis Ford Coppola. Nella scena in cui Michael Corleone viene processato, e quasi sicuramente si prospetta una condanna per le rivelazioni del pentito e super testimone Pentangeli, viene fatto venire direttamente dalla Sicilia il fratello di quest’ultimo.
La sola presenza del fratello induce un cambiamento istantaneo nel testimone, il quale ritratta ogni cosa immediatamente. “L’onore della famiglia è salvo”, riferiscono al fratello che ancora era tenuto all’oscuro della sua presenza in tribunale. “E’ bastato che mostrasse la sua faccia” e la presa sui sentimenti del fratello “traditore” ha dato i suoi effetti. Il sentimento connesso al vincolo familiare appare di una forza sconvolgente. L’influenza trasformativa che ha determinato si è rivelata più forte del sentimento di vendetta che egli covava da tempo contro la famiglia dei Corleone. Ecco una chiara dimostrazione, nei contesti mafiosi in questo caso, di come una speciale forma di comunicazione sia riuscita a determinare un cambiamento di proporzioni gigantesche. Il testimone, poi pentito, si suiciderà a causa di questo conflitto inaccettabile.
Quante cose sappiamo e non sappiamo di sapere
Nella nostra vita di tutti i giorni affrontiamo giornalmente centinaia di questioni nuove che risolviamo senza pensarci. Quando parliamo, ad esempio, mettiamo in azione in modo perfettamente organizzate tra loro sia il sistema della fonazione (corde vocali, laringe, ugola, lingua, denti, palato, naso) che il sistema nervoso, il quale agisce come un sistema a feed-back per la regolazione della risposta, che i polmoni e i muscoli della respirazione, gli organi con cui viene spinta l’aria attraverso gli organi fonatori. L’onda sonora che ne fuoriesce sarà armonica. Tutte queste conoscenze sui meccanismi della fonazione non sono necessari per poter parlare.
La cosa più sorprendente è che noi non dobbiamo imparare ad articolare il linguaggio come impariamo un sacco di cose.
A scuola non ci insegnano ad articolare la lingua , abbassare il palato e a gestire le corde vocali in un certo modo per produrre il linguaggio, a meno che non soffriamo di difetti della fonazione o disturbi del linguaggio. Naturalmente ogni persona sa parlare. Non dobbiamo essere consapevoli di questi per esprimerci. Infatti non serve questa conoscenza. Essa è semplicemente una conoscenza intrinseca, intesa come abilità del corpo che riceviamo in modo naturale fin dalla nascita, come gli istinti. Infatti per provare una emozione istintuale non bisogna imparare niente, almeno nella quasi totalità delle persone. La sola cosa che dobbiamo imparare è il lessico, la sintassi e la grammatica. Anche in ciò siamo programmati al linguaggio e all’apprendimento della grammatica, come dimostrano molti studi. Ma questo è un altro discorso.
In questa sede voglio che poniate particolare attenzione sul fatto che se provate a imparare tutte le sequenze teoriche che sono alla base dell’articolazione del linguaggio e provate ad applicarle per esprimere una sola parola non ci riuscirete.
Le cose che sappiamo fare e non sappiamo di averle imparate
Quando ci capita di inciampare e stiamo per cadere, numerosi sistemi entrano in gioco per impedirci di cadere: dal cervelletto che elabora gli impulsi automatici di equilibrio che provengono dai muscoli, a quello degli osteoliti che si trovano nell’orecchio interno e che da essi partono affinché un complesso sistema che li integra tutti, ci riporta in equilibrio. Allo stesso modo, se dovessimo esserne coscienti e gestirlo con la ragione sarebbe difficilissimo rimanere in piedi. Piuttosto, accade che se ne siamo consapevoli e ci poniamo razionalmente rispetto ad esso, cadremmo. Quando stiamo guidando e siamo assorti a pensare ad altro, oppure impegnati in una discussione con qualcuno sul sedile a fianco, potremmo aver superato un semaforo e accorgerci in quel momento che non ne eravamo coscienti. Quello che voglio dire è che facciamo molte cose automaticamente e le facciamo bene.
Cosa avviene in tutti questi casi?
Anche quando siamo perfettamente consapevoli e vigili con la nostra mente razionale e critica avvengono delle cose che diamo per scontate, cioè, la nostra mente esercita un filtro sull’ambiente in quanto le informazioni solite, quelle che dobbiamo dare per scontate, vengono appunto trascurate. Alla base di questa attività della mente c’è un motivo molto plausibile: non possiamo percepire e mostrare attenzione a tutto quello che si presenta nel nostro campo percettivo nello stesso momento altrimenti rimarremmo immobili a fare solo quello.
Un’altro postulato di come lavora la nostra mente è quello che essa percepisce il mondo costruendone una immagine che costituirà la nostra realtà.
Sul nostro sistema percettivo, formato dai sensi, dalle vie nervose che da essi partono e dalla elaborazione delle informazioni a livello centrale e dalla risposta, è basato gran parte del nostro essere al mondo. Ecco perché è stato oggetto di studi ed elaborazioni mediante le quali sono state formulate alcune delle più importanti teorie. La teoria che prende il nome teoria della “Gestalt” o teoria della forma, fu formulata quasi un secolo fa da Wertheimer all’università di Graz in Germania e costituisce un capisaldo della moderna psicologia cosiddetta fenomenologica. Per M. Heidegger, allievo di Husserl, fenomenologia significa “lasciar vedere in sé stesso ciò che si manifesta”, liberandolo dall’occultamento in cui rischiano di farlo cadere i nostri pregiudizi.
L’espressione di tale teoria fu introdotta in termini psicoterapeutici in Italia sotto il nome di Vittorio Benussi mentre in Europa, a partire dagli anni 70, si diffuse la scuola inaugurata da Fritz Pearls negli USA. In Italia Cesare Musatti prese il posto di Benussi e diffuse per primo la psicologia della forma. Nei suoi aspetti formativi ed espressivi la psicolgia della Gestalt occupò un posto di privilegio nell’approccio integrato con la fondazione dell’ ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità) da parte di Edoardo Giusti nel 1984 a Roma. Devo molto all’ASPIC e a Edoardo Giusti per la mia prima formazione.
Apprendimento intuitivo e l’equilibrio mente corpo
La psicologia cognitiva ci dice che la mente processa le informazioni in modo seriale, proprio come fa un computer. Ma c’è un sistema della mente che lavora anche in parallelo, cioè contemporaneamente su due distinti livelli. Si tratta dell”inconscio, e in particolare dell’inconscio cognitivo. Esso ci conserva l’ esperienza in memoria e di questi dati non ci è dato di conoscerne l’origine che solo in certe condizioni.
Se non ci avete pensato fino a questo momento, oppure non avete mai avuto la possibilità di esercitare la vostra riflessione sull’apprendimento intuitivo e su quello naturale del corpo, questa è l’occasione buona. Pensate che gli atleti sempre più spesso si rivolgono agli psicoterapeuti per migliorare le loro prestazioni. Il ricorso all’ipnosi rimette in equilibrio mente e corpo e restituisce tutte le potenzialità dell’individuo in un sistema complesso e naturalmente disciplinato.
Gli apprendimenti del corpo e l’autoregolazione
Certi apprendimenti del corpo – compreso un certo comportamento spontaneo e naturale – esiste e funziona in noi come qualcosa di cui la Natura ci ha forniti e che in un mondo secondo Natura non avrebbe difetti o controindicazioni se non fossimo, invece, continuamente spinti in varie forme di adattamento.
Siamo in grado di reagire a particolari stimoli aversivi o condizionati come quello di arretrare davanti a un pericolo o rispondere al caldo eccessivo aumentando la sudorazione e il conseguente raffreddamento del corpo, oppure in modo da aumentare la pressione sanguigna, il battito cardiaco e l’aumentato apporto di zuccheri che vengono raccolti per essere inviati nei distretti muscolari in attività, eventualmente sottratti alla digestione per affrontare l’attacco o la fuga in caso di pericolo. Queste caratteristiche vengono espresse da ciascun individuo in modo simile per gli strumenti fisiologici che abbiamo ma ciascuno, però è in grado di esplicitare le risposte all’ambiente esprimendo le proprie specificità e caratteristiche personali.
“A pelle”
Vi è mai capitato di sentirvi attratti da una persona, sentire che state bene vicini e un’attrazione inconsapevole trattiene entrambi ma non sapete spiegarvi il motivo ?
Un fenomeno vecchio quanto il mondo che ha dominato la letteratura e l’arte da sempre.
Parliamo di sensazioni “a pelle”, di energia chimica.
Il Sentire attiene alle sensazioni percepite attraverso gli organi di senso. Sono questi che ne danno immediatezza alla mente che le trasforma in percezioni, modalità del “sentire” proprie di ogni essere umano.
Come avete avuto modo di comprendere fino ad ora, molte di queste percezioni non hanno bisogno del cervello razionale ma vengono elaborate subito in termini di immagini, atti simbolici evocativi, bisogni viscerali. L’insieme degli stimoli subiscono la mediazione dell’ipotalamo e del talamo, organi presenti anche negli animali superiori al fine di rispondere ai bisogni viscerali come l’attacco e la fuga, la soddisfazione sessuale, le chiamate della fame, della sete e di difesa del territorio e della prole.
Spesso le persone che sono coinvolte in questo fenomeno reciprocamente si definiscono complementari dal punto di vista del carattere e costruiscono spiegazioni in gran parte basate su presupposti inesistenti. Spesso non si riesce a coglierne l’essenza. Sarà perché l’eccessivo uso del linguaggio e il desiderio di spiegarsi ogni cosa con il metro della razionalità e del raziocinio ci conduce a sottovalutare il contributo assolutamente inconscio di queste forze, il loro risiedere nel cervello destro dell’intuito e dell’ interpretazione olistica.
Si sa da tempo che il corpo emette segnali di ogni genere che, quando non c’è il linguaggio a disturbare, fluisce come forma di comunicazione principale. Il più delle volte l’ignoriamo, passando ad altro e perdiamo l’opportunità di ammetterlo e goderne gli effetti. Attraverso questi messaggi di cui il corpo è l’artefice, si può comprendere meglio cosa “circola” tra due persone quando vengono attraversate da quella forma di energia positiva che definiamo “a pelle”. Diverse cose accadono nell’incontro. Non solo c’è un’attrazione di tipo particolare ma, addirittura, entrano in gioco forme di coinvolgimento che investono corpo e mente in una girandola di implicazioni affettive e sentimentali per cui si può dire che una particolare energia positiva circola tra queste persone. Alcune persone manifestano una sensibilità superiore ad altre e certe volte rimangono coinvolte in un modo straordinario e tale da determinare scelte inaspettate. Siamo in questi casi in visita a territori eccezionali, dove gli artefici si esprimono in forme e linguaggio caratteristiche e impiegano mezzi per cui la misura delle emozioni non è mai colma, oppure sono a tal punto impetuosamente coinvolti che la mente razionale cade quasi sempre sotto i colpi dell’emotività.
Il lavoro che il paziente compie nel setting psicoterapeutico è una costruzione che diviene via via sempre meglio organizzata in base agli apprendimenti avvenuti nelle varie modalità e nell’assimilazione di questi attraverso l’intermediazione delle caratteristiche del cervello destro. Anche il paziente che sta avendo trasformazioni nella sua competenza esplicativa e suggestiva non è in grado di definire il modo e i tempi delle sue trasformazioni. Sa, però, che grazie a processi di cui ha qualche evidenza è riuscito a comprendere meglio la situazione attuale. Ora è in grado di sentirsi meglio organizzato, più sereno ed equilibrato al punto da poter affermare :”Le cose mi risultano più chiare adesso; la nebbia si è diradata e tutto mi appare più chiaro. So quello che voglio, adesso mi devo solo organizzare meglio”.
Capire i sentimenti senza parlare – Alessitimia
Se, arrivati ad un certo punto della vostra vita, vi sorprendete a domandarvi perché le persone care intorno a voi si lamentano delle vostre “freddezze affettive”, se più di una volta la vostra compagna vi ha sinceramente accusato di scarsa emotività e voi stessi vi riconoscete una certa difficoltà a vivere pienamente certi sentimenti o certe emozioni, è probabile che siete affetti da alessitimia.
Il termine “alessitimia” fu coniato nel 1973 da Sifneos. Si tratta di una particolare costellazione di caratteristiche psicologiche, cioè “un disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche”, spesso presente nei pazienti psicosomatici.
Alessitimia significa letteralmente “mancanza di parole per le emozioni”, e indica una sorta di “analfabetismo emozionale”, una marcata difficoltà nel riconoscere, esplorare ed esprimere i propri vissuti interiori.
Una difficoltà di identificare i sentimenti e di distinguerli dalle sensazioni; difficoltà nel descrivere e comunicare emozioni e sentimenti alle altre persone; processi immaginativi limitati; stile cognitivo orientato esternamente.
Essendo incapaci di identificare accuratamente e di “dare un nome” ai propri sentimenti soggettivi, le persone alessitimiche hanno difficoltà a comunicare verbalmente agli altri il proprio disagio emotivo e non riescono ad usare le altre persone come fonti di conforto, di tranquillità, di aiuto nella regolazione dello stress. La scarsità della vita immaginativa limita inoltre la loro possibilità di modulare l’ansia e le altre emozioni negative, attraverso i ricordi, le fantasie, i sogni ad occhi aperti, il gioco, ecc.
Al contrario degli “alessitimici”, gli individui “emotivamente intelligenti”, hanno una buona auto consapevolezza emotiva, sanno riconoscere precocemente i segnali fisiologici che accompagnano l’emozione, hanno capacità di auto introspezione e autoregolazione.
Questa operazione è fondamentale perché dota di senso l’esperienza emozionale, la arricchisce con la “valutazione” cognitiva (ad esempio in termini di novità, pericolosità, capacità di farvi fronte, possibili risposte, relazione con i propri valori e le norme sociali…), la collega più saldamente con i propri vissuti e con la storia soggettiva.
Oltre che come tratto di personalità relativamente stabile, l’alessitimia può emergere come fenomeno secondario, come stato reattivo in conseguenza di gravi traumi o di malattie fortemente invalidanti o in cui c’è pericolo di vita (cancro, dialisi, trapianto); in momenti particolarmente critici dell’esistenza “l’anestesia emozionale” sembra avere finalità adattive, rappresenterebbe cioè un massiccio meccanismo di difesa verso la propria realtà interiore fonte di sofferenza e di grosso scompenso.
L’incapacità di elaborare le emozioni
sembra essere un fattore di predisposizione generale alla malattia psicosomatica (mal di testa, tensioni muscolari, disturbi gastrointestinali, dolori articolari cronici, asma bronchiale, malattie dermatologiche. Gli alessitimitici sembrano più facilmente soggetti a sintomi somatici funzionali, a lamento somatico senza spiegazione medica, a preoccupazioni ipocondriache.
Anche nelle persone con disturbi da abuso di sostanze si osservano massicci problemi di dis regolazione affettiva e alessitimia. Le persone dipendenti da alcool o droghe sperimentano di frequente depressione, rabbia, irritabilità, un “miscuglio confuso di stati affettivi dolorosi”; tanto che è stata avanzata “l’ipotesi dell’autoterapia”, cioè dell’uso delle sostanze psicoattive per alleviare e gestire gli stati affettivi spiacevoli e la propria confusione emotiva.
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