Intesa sessuale vs “Chi non lavora non fa l’amore”
Giuseppe è un uomo di 34 anni apparentemente normale, capitato non so come in un gruppo di persone che seguivano un corso sull’autostima. Parlava pronunciando le parole come se gli scivolassero di bocca, nel senso che preso dalla foga di finire non le concludeva tutte e a volte non concludeva nemmeno le frasi. Era chiaro che compiva uno sforzo notevole a parlare in pubblico e nonostante arrossisse ogni volta, si imponeva comunque di esprimere il suo pensiero anche se non padroneggiava la lingua italiana.
Più tardi mi disse che era stato seguito da una psicologa a causa di un suo problema che gli aveva provocato gravi conseguenze. Ha un figlio e una moglie ma attualmente vive con la madre.
Giuseppe mi chiese un appuntamento allo studio per affrontare finalmente il suo problema che consisteva in un notevole calo del desiderio sessuale che non riusciva da circa un anno ad avere rapporti sessuali con la moglie. Durante il primo colloquio, Giuseppe confessò con molto imbarazzo che la moglie era così affezionata a lui che avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare il loro matrimonio. Giuseppe aveva consultato l’andrologo che gli aveva diagnosticato un normale sviluppo e alcuna anomalia dell’apparato genito-urinario. Gli accertamenti ormonali dichiaravano che Giuseppe aveva un livello più che normale di ormoni. Si trattava allora di un disturbo con origine psicologica. Infatti Giuseppe racconta che si sente sempre sotto stress e qualche volta che ha sentito qualche impulso è stato proprio in momenti particolari in cui si sentiva più rilassato. Ma questi momenti duravano così poco che non riusciva nemmeno ad avvicinarsi alla moglie. Nei suoi confronti G. sentiva una profonda stima e rispetto. G. aveva avuto serie difficoltà col padre durante l’adolescenza mentre nei confronti della madre si limitava a dire “tutto a posto”.
Si sentiva fortemente umiliato dalla sua condizione nei confronti della moglie la quale lo trattava, in quelle occasioni, con atteggiamento “materno”.
Al secondo colloquio G. mi raccontò delle sue normali esperienze prematrimoniali e di quanto fosse imbarazzante che il padre che svolgeva la professione di sarto, gli suggerisse di lasciare il suo lavoro di autista e di ritornare ad aiutarlo nel laboratorio artigianale.
G. si “sentiva fallito” quando tra sé e sé, di fronte allo stress del suo lavoro di autista, pensava seriamente di lasciare e di tornare a lavorare presso il padre. Per questo si sentiva molto combattuto. L’umiliazione sia presso la moglie che presso il padre si rinforzavano a vicenda e a tal punto che a volte pensava di lasciare anche la casa paterna ma era afflitto dai problemi dei soldi che non sarebbero bastati.
Al terzo appuntamento Giuseppe non venne trovando una scusa. A distanza di oltre 10 anni da allora mi va di riprendere la sua problematica per indicare alle persone che si trovano nella sua stessa condizione una strada diversa da quella che pensavo fosse adatta a lui.
Dopo oltre 10 anni ho maturato una conoscenza più approfondita delle teorie e delle tecniche.
Oggi, rivedendo il caso di Giuseppe non mi sento più di asserire che il suo passato è all’origine del suo problema attuale con la moglie. Allora non sarebbe meglio andare a guardare nel dettaglio quello che Giuseppe intende per problema sessuale con la moglie e cercare di scoprire in che modo egli ha inteso risolvere il suo problema in quanto forse è proprio nel suo modo di affrontare le cose che risiede la causa, ovvero l’origine? E allora sarebbe proprio come ipotizza la teoria costruttivista che si trova l’errore nelle mancate soluzioni?
Certamente Giuseppe è così perchè lui affronta in questo modo i suoi problemi. Come la maggior parte degli uomini G. ha bisogno di essere riconosciuto una persona degna da parte della moglie per sentirsi in diritto di avere accesso al sesso. Probabilmente è questo un “valore” che G. sente ma che non è necessariamente un requisito per approcciarsi al sesso con la moglie. Lui si sente umiliato e unilateralmente non si sente meritevole e allora rinuncia. Dunque, andrebbe modificato il suo pensiero attuale ribadendo che ci sarebbe un modo completamente diverso di vedere la realtà che prescinde dall’accettazione della moglie. Chi dice che il sesso è una concessione che la donna fa al suo compagno solo se lavoratore e degno? Il sesso è qualcosa che unisce la coppia che assieme trova le soluzioni ai propri problemi. E poi, chi dice che la sessualità nella coppia è una concessione. Non è forse una realtà che la coppia vive soprattutto perchè è una componente importante dell’unione dei partners?
Una tale ristrutturazione della realtà porta a considerazioni e ammissioni che la coppia potrà condividere anche perchè il sesso unisce i coniugi che potranno con questo sentimento unitario che li accomuna, unire le forze per affrontare i problemi che a loro si presentano. D’altronde Giuseppe non sapeva se i suoi “principi” (ovvero, pregiudizi) erano alla base del comportamento della moglie. Allora sarebbe potuto bastare che Giuseppe si fosse convinto che avrebbe dovuto lavorare sul fatto di persuadere in qualche modo la moglie a fare all’amore con lui. Forse il problema era proprio quello: instillare in Giuseppe la convinzione che con una visione diversa sarebbe potuto riuscire a convincere la moglie e chissà se questo non avrebbe influenzato entrambi su scelte più congrue e soddisfacenti per entrambi e per l’intera famiglia. Non solo, ma anche sulla sua personale convinzione sbagliata che “chi non lavora non fa l’amore“.